Forse a Chiusdino c’è ancora qualcuno che si ricorda che nell’oratorio di San Sebastiano, della Compagnia di San Galgano, nella nicchia dove è attualmente esposta la statua di Santa Rita da Cascia, era custodita una statua lignea della Madonna di Loreto; la statua ora si trova nel piano superiore della sacrestia dell’oratorio e non è più esposta alla venerazione dei fedeli, poiché i tarli l’hanno molto rovinata: il volto della Vergine è sciupato per i due terzi e la testa e la mano benedicente del Divino Bambino irrimediabilmente andate perdute.
Esisteva quindi a Chiusdino una particolare devozione per il santuario della Santa Casa di Loreto e per il simulacro della Beatissima Vergine?
Sembrerebbe di sì.
Una conferma di ciò ci viene da alcuni curiosi documenti custoditi nell’archivio privato della famiglia Lenzi, riportati recentemente alla luce dal Dott. Giuseppe Lenzi di Siena. Il primo di esso è un volumetto manoscritto di modeste dimensioni (circa cm 15 per 20), relegato in cartapecora e chiuso con lacciuoli di pelle, che nella tradizione familiare è denominato “Secondo Libro Antico di Casa Lenzi” (per distinguerlo da un “Primo Libro Antico” pure presente nell’archivio) che contiene una specie di diario in cui i vari membri di questa antica famiglia chiusdinese hanno annotato i fatti più disparati della loro vita, dai conti amministrativi fino alle note più umane, come le nascite, le morti e così via.
Il “Secondo Libro Antico” è, com’è ovvio, il proseguimento del “Primo” e contiene la cronaca familiare compresa fra gli anni 1729 e ed il 1787 – ‘88.
Iniziatore di questo singolare zibaldone è Giovanni Ottavio Lenzi, nato a Chiusdino nel 1702 da Giuseppe Isidoro e da Caterina Francesca Venturi, e morto nel paese natale nel 1754.
Relativamente all’anno 1739, Giovanni Ottavio Lenzi riferisce di un pellegrinaggio compiuto al Santuario di Loreto insieme ad alcuni suoi amici, anche loro chiusdinesi, il Padre Ceccarini, priore del monastero vallombrosano di San Martino, in paese, Mattia Venturi, Francesco Ceccarini e Giovanni Pietro Mattei.
Il secondo documento è un foglio sparso contenente una specie di itinerario, una rotta che i pii pellegrini avrebbero dovuto seguire e che, infatti, riporta questa intestazione: “Viaggio da farsi à piedi partendosi da Siena p. andare à Loreto” e sul retro “Viaggio p. tornarsene à Siena p. la Via della Marca”. In esso sono indicate le varie tappe con la distanza fra di esse calcolata in miglia; la calligrafia di questo documento lo dichiara come scritto da don Girolamo Lenzi, fratello di Giovanni Ottavio, che fu Prevosto della chiesa dei Santi Simeone e Giuda di Radicondoli e, per nomina del Gran Duca di Toscana Gian Gastone de’ Medici, cavaliere sacerdote del Sacro Militare ordine di Santo Stefano Papa e Martire.
I nostri pellegrini partirono “per andare al Loreto” il 10 maggio 1739.
Nella notte tra il 10 e l’11 pernottarono a Siena e la mattina di buon’ora proseguirono – a piedi ? – il viaggio alla volta della cittadina marchigiana.
Durante il viaggio di andata sostarono a Perugia, “a Sisi”, (cioè ad Assisi), a Santa Maria “del Angioli”, a Tolentino, a Macerata, a Recanati, in cui poterono vedere, secondo quanto annotato, “belle cose”.
Giunsero finalmente a Loreto il sabato 16 maggio e vi si trattennero per due giorni, in cui poterono compiere con comodo la visita alla Santa Casa: “il sabbato 16 detto giunzemo in quel santo Luogo dove ebbemo molta soddisfazione”, scrive Giovanni Ottavio Lenzi, contento di aver raggiunto la metà ma io credo soprattutto di aver potuto compiere le tradizionali devozioni legate al santuario ed aver appagato i bisogni dello spirito.
Il viaggio di ritorno fu assai più lungo e contorto: i nostri pellegrini si diressero dapprima a Cesolo, vicino a San Severino Marche, quindi ad Ancona dove si imbarcarono fino a “Sinigalglia” (Senigallia), e da lì raggiunsero Fano, quindi Fossombrone, Urbania, Borgo San Sepolcro, il convento francescano de La Verna, l’eremo di Camaldoli, quindi quello di Vallombrosa, Ripoli, Prato, Firenze, l’abbazia di Passignano, Impruneta ed infine Siena.
È possibile che la scelta di questo lungo percorso di ritorno, sia stato suggerita dal Priore Ceccarini, che, come detto, era monaco vallombrosano: in varie località, infatti, fra quelle indicate, hanno la loro sede dei monasteri vallombrosani (Senigallia, Fano, Urbania, Passignano, Bagno a Ripoli, Firenze).
In tal modo, anche se allungarono di molti chilometri e di molti giorni il viaggio di ritorno, i pellegrini ebbero l’opportunità di visitare anche altri celebri santuari.
Fra andata, soggiorno e ritorno, il pellegrinaggio durò venti giorni.
Naturalmente non sempre i pellegrini poterono fermarsi nelle osterie (gli alberghi ed i ristoranti, allora come ora, non erano accessibili a tutte le borse, ma soprattutto le soste erano numerose e la spesa avrebbe rischiato di essere veramente ingente) e spesso consumarono i pasti ed alloggiarono presso amici o conoscenti e presso vari conventi e monasteri: “in questo viaggio fummo favoriti, di più pranzi, cioè due a Camaldoli, e dormire tre a Vallombrosa e due dormiri [cioè due pernottamenti] a Ripoli due a Prato a S. Anna da F. Gio. Dom.o [si tratta di fra Giovanni Domenico Lenzi, domenicano, fratello di Giovanni Ottavio] e dormire, alla Cura S. Colonbano dà un cugino del Padre Priore Cecc[arini] che ci favori di un rinfresco a Pergolato cura di un Fratello di det. Pa. che ci favori merenda cena e dormire e a Passigniano che ebbemo colazione, et altri favori di li a Siena”.
Questa ospitalità permise loro di risparmiare un po’ sulle spese di vitto ed alloggio ed infatti “la spesa fù p. il vitto e dormire [scudi] 15 [scudi] 12 in corone, medaglie e [scudi] 6 in vetture, posto di barca, limosine mancie a chi facievaci vedere varie cose, e altre bagattelle”.
L’accenno all’acquisto di corone (si tratta delle corone per la recita del Santo Rosario) e di medaglie, evidentemente con l’effigie della Santa Casa o del simulacro della Madonna, ci fa capire che Giovanni Ottavio Lenzi e gli altri pellegrini non si dimenticarono di acquistare alcuni souvenirs di carattere ovviamente devozionale, per i propri parenti ed amici; poche righe più sotto, del resto, il Lenzi enumera dettagliatamente le persone di cui egli si ricordò ed alle quale portò il suo dono.
Il pellegrinaggio è ricordato anche nel “Libro di ricordanze” della chiesa e monastero di San Martino di chiusdino, custodito nell’Archivio di Stato di Siena: in una delle pagine relative all’anno 1739, si trova, infatti, questa frase: “il di 10 detto [maggio] partì per la Santa Casa di Loreto il Molto Reverendo Padre Priore Ceccarini, con altri Paesani, che molto gradivano la sua disiderabile compagnia; e tornò il di trentuno detto, sano, e salvo”.
Se il passato non parla al presente, a che pro studiarlo?
Innanzitutto non possiamo che essere ammirati da questi chiusdinesi di tre secoli fa, che, per mera devozione, non esitarono ad affrontare i disagi che un viaggio all’epoca comportava: un bell’esempio per la nostra fede troppo spesso tiepida.
Secondo: il ritrovamento di questi due documenti che ci parlano di un’antica devozione presente nel nostro paese, speriamo che possa costituire l’auspicio per un più che opportuno restauro del simulacro della Vergine Lauretana, di proprietà della nostra Inclita ed Insigne Compagnia, e per un recupero della devozione a Lei, tanto cara ai nostri antenati.
Andrea Conti