Vi avverto subito, il tema trattato è delicato e complesso e i limiti di spazio di questo nostro giornalino non consentono una trattazione completa ed esaustiva, tuttavia cercherò di toccare gli aspetti principali e di dare un quadro il più possibile essenziale dei punti cardine che DEVONO essere tenuti presenti per una decisione responsabile, consapevole e coerente con la dignità della persona umana laicamente intesa ed in base alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e alla nostra Carta Costituzionale che, è bene tenerlo a mente, sono state scritte dopo il secondo conflitto mondiale e con impressi nella mente gli orrori dei campi di sterminio del nazionalsocialismo.
Lo scopo di questo articolo è quello di valutare la dignità giuridica e la validità etica del disegno di legge approvato al Senato il 26 marzo 2009 e attualmente all’esame della Camera (Proposta di legge C. 2350) “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”, il cosiddetto Testamento Biologico, cercando, per quanto possibile, di porre all’attenzione dei nostri lettori le prospettive che questa legge apre, nonostante tante dichiarazioni tese a smentirlo.
Nel farlo, non essendo io un giurista, mi sono avvalso del supporto di alcuni interventi del dr. Giacomo Rocchi, magistrato penale a Firenze ed autore di diversi libri.
Vorrei anzitutto ricordare alcuni pilastri della nostra Costituzione che enunciano in modo inequivocabilmente altrettanti principi cardine del nostro Stato, ovvero:
L’articolo 3 sancisce che ogni persona ha eguale dignità ed eguali diritti davanti alla legge, indipendentemente dal suo stato di salute.
L’articolo 70 sancisce che il Parlamento, eletto dal popolo, ha il potere di emanare le leggi nel rispetto della Costituzione!
L’articolo 101 sancisce che il potere giudiziario ha la funzione di applicare e far rispettare la legge emessa dal Parlamento.
Ovvio? Non sempre, purtroppo! Se pensiamo al caso Englaro sarà facile ricordare che la legge VIETAVA E VIETA di procurare la morte ad un paziente o di aiutarlo nel suicidio e soprattutto impone, in conformità al diritto internazionale ed al giuramento di Ippocrate di fare tutto quanto necessario per garantire il DIRITTO ALLA VITA del paziente, escludendo ogni forma di accanimento terapeutico.
Tuttavia è una sentenza che ha permesso di uccidere per fame e per sete Eluana Englaro, sulla base di una sua presunta dichiarazione verbale fatta poco più che adolescente, al capezzale di un suo amico in coma irreversibile che suona più o meno così: “sarebbe meglio che fosse morto”, si è passati a considerare persino dar da mangiare e da bere come un “trattamento terapeutico” ed addirittura come “accanimento terapeutico”.
Non necessario, dunque, un atto consapevole della persona malata in procinto di sottoporsi a cure, ma sufficiente una frase detta in uno stato emotivo drammatico e non di se stessa, ma dell’amico, ben venti anni prima da adolescente. Si tenga anche bene a mente che Eluana NON era clinicamente morta (veniva solo alimentata ed idratata ma respirava da sola) e NON era tenuta in vita artificialmente e che nessuno ha mai contestato la legittimità delle terapie d’urgenza a suo tempo erogatele.
Sull’onda emotiva del caso Englaro il Parlamento si sta occupando di una legge, già approvata al Senato, per sanare questo presunto “vuoto”!
La nostra Costituzione deve essere citata senza strumentalizzazione e deve quindi essere ricordato anche l’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
La Costituzione è nata per tutelare le nostre libertà sull’onda degli orrori e delle drammatiche violazioni compiute dai nazionalsocialisti nei campi di concentramento dove assai spesso le persone venivano “usate” per sperimentare i più disumani trattamenti al fine di trovare nuove cure, ma anche nuovi metodi di controllo e di tortura. Questo contesto NON andrebbe mai dimenticato.
Per ragioni simili, per meglio comprendere il “peso” di questa affermazione, in Spagna è vietato perquisire di notte abitazioni private (memori di quanto accadeva durante la dittatura ed in Germania sono vietate intercettazioni telefoniche in locali pubblici (memori del controllo della Ge.Sta.Po.).
L’interpretazione asettica e decontestualizzata di tali norme oggi impedisce una efficace lotta alle mafie in quei paesi ed andrebbero riformate. In Italia, la stessa asetticità finisce per impedire la cura della salute!
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sancisce gli stessi principi della nostra Carta Costituzionale. Vi rimando, dunque, in particolare agli articoli 2, 3, 5, 7 e 25
Dunque gli aspetti fondamentali sono: nessuna discriminazione, uguaglianza davanti alla legge, diritto alla salute ed alla vita. Non esiste in nessuna carta fondamentale IL DIRITTO ALLA MORTE!
Infine, è doveroso citare la più antica e fondamentale fonte del diritto alla salute: il giuramento di Ippocrate del IV secolo prima di Cristo!
“Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, […] di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; […]osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; […] dI curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano […] di astenermi dall’ “accanimento” diagnostico e terapeutico.”
Basterebbe fermarsi qui, risulta evidente come da ben duemilaquattrocento anni tutto il successivo diritto in materia di salute si fondi su questo giuramento che il uno dei più alti ed insuperati momenti della fondazione della Civiltà umana. Tant’è che tutt’oggi ogni medico deve attenersi a questo codice e chi è preposto all’ap-plicazione della legge non dovrebbe fare altro che applicare questi millenari principi.
Ma vediamo cosa dice il disegno di legge in discussione alla Camera valutandone la corrispondenza ai pilastri della civiltà sopra esposti.
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Art. 1. “La presente legge, […] riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza […] fino alla morte accertata nei modi di legge; […] riconosce e garantisce la dignita` di ogni persona […]; vieta […] ogni forma di eutanasia […] considerando l’attivita` medica […]finalizzata alla tutela della vita […]; impone […] al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari […] riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, […]; fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita`[…]; garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, […]”.
Questo articolo par confermare il diritto alla vita e la contrarietà all’accanimento terapeutico. Quest’ultimo si definice come “la somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si presenta imminente e inevitabile”. Pur nell’ambito di una discrezionalità tecnica, la definizione può essere oggettiva, nel senso che spetterebbe ai medici stabilire se la morte è imminente e inevitabile e se i trattamenti sono efficaci o eccessivi.
Al contrario la definizione contenuta nella legge: “in caso di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente” dimostra che si vuole estendere il concetto (ed il controllo giudiziale sull’operato del medico) anche alla condizione di morte non prevista come imminente ed alla condizione di morte non prevista come inevitabile. In sostanza, infatti, il concetto di “fine vita” è il grimaldello per estendere enormemente l’ambito della previsione. In fin dei conti tutti siamo in fine vita se non ci curiamo o non ci nutriamo!
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Art. 2. “[…] ogni trattamento sanitario e` attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole. […] L’alleanza terapeutica […] fra medico e paziente […] si esplicita in un documento di consenso informato, firmato dal paziente, che diventa parte integrante della cartella clinica. […]. “
In caso di interdetto, il consenso informato e` prestato dal tutore […]. In caso di inabilitato o di minore emancipato, il consenso informato e` prestato […] dal soggetto interessato e dal curatore (dagli esercenti la potesta` parentale i caso di minore). […] La decisione di tali soggetti […] e` adottata avendo come scopo la salvaguardia della salute dell’incapace o la salute psicofisica del minore.
Qualora […] l’urgenza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato […] il medico agisce in scienza e coscienza […].
Apparentemente normale! Ma Il Codice deontologico (art. 35) già prescrive il dovere del medico ad acquisire il consenso del paziente. Una conferma? Purtroppo no. La trasformazione di una regola deontologica come quella del consenso informato in una regola giuridica è drammatico.
Non si tratta più di trovarsi in un letto d’ospedale dove il medico competente ci illustra il quadro clinico, i rischi e le prospettive ed io posso rifiutare la cura, ma avendo presente che se non sono in grado di capire il medico stesso agirà in modo deontologicamente corretto e a tutela della mia vita. Si stabilisce invece che in un contesto asettico di discussione tra persone sanissime, preventivamente si esprime per scritto una autorizzazione pro trattamento, ribaltando il concetto. In pratica, il trattamento sanitario attivato senza il previo consenso del paziente è illecito!
Inoltre si concede ad altri il consenso al posto nostro ed il medico non può far altro che eseguire! Ma chi garantisce che la decisione non sia dettata da un interesse del tutore? Fosse anche per impossibilità a seguirne le cure, a pagarle, a sostenere il peso emotivo nel vedere un proprio caro in condizioni di sofferenza. Per non parlare della possibilità che il tutore abbia un interesse vero e proprio nella morte del soggetto.
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Art. 3. “[…] il dichiarante esprime il proprio orientamento […] in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere [ed …] e` esclusa la possibilità per qualsiasi persona terza […] di provvedere alle funzioni di cui all’articolo 6.
2. […] il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purchè in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.
3. […] può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme […] di trattamenti […].
5. […] l’alimentazione e l’idratazione […] sono forme di sostegno vitale e […] non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento.
6. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui e`accertato che il soggetto in stato vegetativo non e` più in grado di comprendere le informazioni […]”
Qui le cose si complicano parecchio. Provate ad immaginare la situazione: giovani, in piena salute, forti come tori, andate dal medico curante. Dopo la fila in ambulatorio il vostro medico curante (Non un collegio di specialisti!) vi elenca tutte le possibili disgrazie che vi potrebbero capitare uscendo da quell’ambulatorio e tutte le possibili cure che potrebbero essere disponibili, gli effetti collaterali, i possibili vantaggi, gli svantaggi, le possibilità di guarigione totale o parziale e così via. Già questo è tecnicamente impossibile e la legge distorce la realtà per varie ragioni: la ricerca evolve ed il medico non può sapere quali saranno le cure scoperte il giorno dopo o tra cinque anni; il medico curante non ha competenze per darvi un quadro davvero completo e noi non abbiamo competenze per comprenderlo. Certo, potete sempre cambiare decisione, ma chi si tiene informato costantemente in merito alle nuove scoperte mediche? Noi, il medico curante (che ha almeno 600 pazienti)? E come ci farà conoscere le nuove cure per aggiornare l’informativa?
Qualcuno di voi, in scienza e conoscenza, può affermare di aver letto e COMPRESO i termini del contratto del suo conto corrente? O per il telefono, per la luce, per il mutuo, per l’acquisto della macchina? Ed anche avendolo fatto, l’avete davvero compreso appieno?
Chi sarà capace di valutare quel modulo scritto piccolo di 10 pagine con il quale venderemo LA NOSTRA VITA!
Inoltre, quanti di voi in perfette condizioni di salute sono veramente in grado di immaginare anche solo lontanamente i sentimenti, le emozioni, la sofferenza, la voglia di vivere che avranno quando si troveranno in un letto d’ospedale? Insomma, chi di voi può seriamente affermare di prendere tale decisione in “stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica”? Ecco perché oggi tali atti si fanno “sul momento” e se non siamo coscienti … il carico della decisione è del medico di cui ci fidiamo!
Infine, se la vostra dichiarazione DEVE ESSERE CONFORME “a quanto prescritto dal codice di deontologia medica”, a che servirebbe se non ad aprire all’eutanasia? Il medico deve attenersi già, nei vostri confronti, alla deontologia medica ed alla legge che ci tutelano rispetto ai suoi comportamenti. Dunque se avete fiducia nel vostro medico non avete di che preoccuparvi. E se NON ci fidiamo di lui come fidarsi della completezza delle informazioni che riceveremo per decidere anni prima in merito alla vostra vita?
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Art. 4. “Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, […] sono raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale […] devono essere adottate in piena libertà e consapevolezza, nonché sottoscritte con firma autografa.
Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione […] ha validità per cinque anni […] termine oltre il quale perde ogni efficacia. […]
In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica.”
Dunque non sono obbligatorie e se siamo privi di coscienza immediatamente dopo un incidente stradale comunque non si applicano. Ma se il soggetto è cosciente e ciò nonostante deve essere sottoposto a terapia intensiva, occorrerà il suo consenso scritto; o se, al contrario, lo stato di incoscienza è conseguenza di un evento non acuto (ad esempio per la progressione prevista di una malattia inguaribile), il medico non potrà attivare una terapia salvavita o d’urgenza se, prima di cadere nello stato di incoscienza, il soggetto non avrà prestato il consenso a quelle terapie.
Inoltre, la dichiarazione va sottoscritta in piena libertà! E chi garantisce questa libertà? Non serve scomodare la cinematografia per sapere che molti di noi possono essere indotti a dichiarare qualunque cosa sotto varie forme di pressione. Almeno sia uno psicologo in grado di capire se siamo soggetti a pressioni o in stato di momentanea depressione!
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Art. 5. “Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, […] adotta le linee guida cui le regioni si conformano nell’assicurare l’assistenza domiciliare per i soggetti in stato vegetativo permanente.”
Fantastico, finalmente! Ma Tremonti lo sa? I soldi dove li trovano? Chi paga dato che l’80% della spesa pubblica regionale è determinata dai costi della sanità? Forse la famiglia del poveretto? E vista la grave situazione economica generale ed in particolare la drammaticità dei conti della sanità pubblica, chi ci garantisce che per spendere meno e risparmiare risorse i medici non siano indotti (o perfino costretti) a fare quanto possibile per indurci a rifiutare i trattamenti? O avete avuto prova che nelle istituzioni non vi siano persone abbastanza ciniche per farlo? E cosa accadrà domani? E tra 5 anni?
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Art. 7. “Le volontà espresse […] sono prese in considerazione dal medico che […] annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno. […] Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o in contrasto con […] la deontologia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità`della vita umana e della tutela della salute[…].
Nel caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione e` sottoposta alla valutazione di un collegio di medici […] designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero […]. Il parere espresso dal collegio non e` vincolante per il medico curante, il quale non e` tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico.”
Fermi tutti! Il medico, sentito il fiduciario, può NON tenere conto della vostra scelta! Ed anche se la struttura ospedaliera lo imponesse, il medico può rifiutarsi. Ma allora è sempre il medico a decidere! Dunque a che cosa serve tutto questo travaglio?
Attenti! Quali conseguenze si troverà ad affrontare il medico che, avendo in mano una nuova e costosa cura che potrebbe guarirvi, in barba a tutto decide di tentare? E se vi risvegliate dal coma con una gamba di meno? Potrete sempre far causa al medico che VI HA SALVATO LA VITA! E se non funziona? Il vostro tutore può fargli causa per avervi “inflitto sofferenze inutili”! in ogni caso la struttura sanitaria potrà far causa al medico per aver generato un danno economico all’azienda e magari potrà licenziarlo! Il tutto, pensate anche a questo vi prego, costringere i medici a diventare meri esecutori della “vostra presunta volontà” per non trovarsi sul lastrico. Rallenterà persino la ricerca dato che nessuno si azzarderà a tentare nuove strade per salvarvi… e già… sarà molto meno rischioso e molto più economico FARVI MORIRE!
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Concludo con le parole del cardinale messicano Javier Lozano Barragan in merito al falso parallelismo di certi laicisti cultori della morte con la vicenda del Beato Giovanni Paolo II. Il cardinale era al capezzale del Papa ha sgombrato il campo da parallelismi con la morte di Eluana Englaro.
”Lui rinuncio’ non all’idratazione e all’alimentazione, – riferisce il cardinale – ma all’accanimento terapeutico. Quando gli venne detto che l’avremmo trasferito all’ospedale Gemelli, le sue parole testuali furono: ‘Perche’? Mi guariranno li? Faranno qualcosa che attenui il dolore? No, non e’ vero? Quindi resto a casa”’. ”E’ molto diverso – ha sottolineato – dal rinunciare al cibo e all’acqua”.
Alessio Tommasi Baldi
Segue nel prossimo numero