I protagonisti della canonizzazione di San Galgano: il Vescovo Ildebrando Pannocchieschi, il Cardinale Corrado di Wittelsbach, il Cardinale Melior
di Andrea Conti
(seconda parte)
Nel numero 11 del nostro giornalino, distribuito a dicembre del 2012, abbiamo indagato su quale pontefice avesse riconosciuto a Galgano la gloria degli altari fra i tre che gli storici indicano come protagonisti dell’evento, cioè Lucio III, Urbano III e Gregorio VIII, e siam giunti a non escludere la possibilità di una canonizzazione in forma commissoria. Vediamo oggi di conoscere meglio chi fossero i delegati del pontefice – chiunque egli sia stato – che indagarono sulla vita, sui miracoli e la fama di santità del nostro glorioso concittadino e celeste patrono permettendone la canonizzazione.
I pellegrinaggi che si compivano verso il Montesiepi e i miracoli che avvenivano per l’intercessione di Galgano, attirarono l’attenzione del vescovo di Volterra, Ugo, che sappiamo aver conosciuto l’eremita quand’egli era ancora in vita. Poco dopo la morte di Galgano il vescovo Ugo si recò sul Montesiepi evidentemente per condurre una prima indagine conoscitiva delle virtù e dei miracoli del santo: il converso Strinato che aveva vissuto con Galgano sul Montesiepi raccontò infatti che un lebbroso miracolosamente guarito dal santo, era stato «in eodem loco», «nello stesso luogo», cioè sul Montesiepi, interrogato dal vescovo stesso «diligenti investigatione», «con una scrupolosa indagine».
L’indagine condotta dal vescovo deve aver avuto esiti positivi se egli autorizzò la costruzione di una cappella a custodia delle reliquie e delle memorie del santo: la notizia si legge nella più antica biografia del santo in nostro possesso, quella redatta nella prima metà del Duecento da un anonimo monaco cistercense. In tal caso, considerando che al momento del processo di canonizzazione – collocato fra la seconda metà del 1185 e la prima metà dell’ ’86 – la cappella era già terminata, la visita del vescovo Ugo alla comunità di Montesiepi non può essere avvenuta che in epoca molto vicina alla morte del santo, forse già nel 1182 o ’83 e senz’altro prima dell’8 settembre 1184, giorno della morte del vescovo.
Potrebbe allora essere stato proprio il vescovo Ugo ad iniziare l’iter canonico per il riconoscimento della santità di Galgano, un anno o due dopo la morte dell’eremita ma non è possibile sapere se già Ugo avesse inviato al papa delle postulationes finalizzate a tale scopo o non piuttosto sia stato il suo successore, Ildebrando Pannocchieschi.
Su sollecitazione del vescovo di Volterra (Ugo, forse, o Ildebrando) si può ritenere che già papa Lucio III abbia nominato, con il compito di verificare la santità del giovane chiusdinese, quei tre commissari davanti ai quali si presentarono i venti testimoni che, dopo aver giurato sui santi Vangeli, esposero quello che era a loro conoscenza «della vita e delle azioni di Galgano e dei miracoli dallo stesso compiuti per volontà divina prima della morte e dopo la morte»: la madre stessa di Galgano, Dionisia, innanzi tutto, e poi Giovanni da Chiusdino, Girardino di Bindo, Petruccio di Montarrenti, Viviano comes de Tegona, Martino de Gualtra, Martino di Fogari, Guido de Canneto, Andrea de Mulutiano, Giovanni di Montepulciano, Ermanno di Frosini, Azzo di Montepulciano, Pagano de Nocetia, Girardino di Castiglione iuxta Umbronem, Guglielmo de Laverona, Paganello di Monticiano, Ghiottone di Chiusdino, il converso Strinato, il prete Isacco, Enrico di Orgia..
Il sacerdote e storico senese Sigismondo Tizio all’inizio del Cinquecento studiò gli atti del processo di canonizzazione e li trascrisse all’interno del primo dei sette volumi delle sue Historiae Senenses; da lui sappiamo che il documento consisteva in una pergamena cui erano appesi tre sigilli di ceralacca, quelli, evidentemente, dei legati pontifici: su di uno, quello nel mezzo, si riconosceva l’immagine d’un vescovo e si leggeva chiaramente “sigillum Conradi episcopi”, sigillo di Corrado vescovo; su di un altro si leggevano soltanto alcune lettere “ …anis” e sul terzo infine, non si poteva più leggere alcunché.
Il grande storico tedesco Fëdor Schneider ha ampiamente dimostrato che in Toscana non esistevano nel 1185 /’86 vescovi di nome Corrado ma che nella regione, in estate, è documentata la presenza di Corrado di Wittelsbach, cardinale vescovo della Sabina ed arcivescovo di Magonza ed in questo prelato egli ha identificato il Conradus citato nel sigillo con costui.
Il cardinale Corrado di Wittelsbach si trovava all’epoca al seguito dell’imperatore Federico I Barbarossa, il quale stava attraversando l’Italia con lo scopo di concludere il matrimonio fra il proprio figlio Enrico e la principessa Costanza d’Altavilla, figlia postuma di Ruggero II re di Sicilia, di ben poca avvenenza e pure di dieci anni più vecchia del futuro marito ma col pregio di portare in dote uno dei più bei regni d’Europa: all’inizio dell’estate del 1185 Federico si era incontrato a Verona col papa Lucio III: è possibile che sia stata questa l’occasione in cui il pontefice abbia incaricato il cardinale Corrado di Wittelsbach di far parte della commissione che accertasse la santità di vita e l’autenticità dei miracoli di Galgano.
Corrado di Wittelsbach, arcivescovo di Magonza e cardinale vescovo della Sabina era uno dei prelati più importanti del suo tempo: la nobiltà dei natali (il cardinale era figlio del conte di Wittelsbach e fratello del duca di Baviera), l’amore per la cultura, la pazienza nelle avversità, la capacità di saper conoscere l’animo degli uomini, la mansuetudine del carattere, la perseveranza nel perseguire sempre la pace e la giustizia, la naturale disposizione al perdono, gli fecero godere della stima dei due più grandi papi dell’epoca, Alessandro III ed Innocenzo III.
Conseguito il grado universitario di magister, che ne faceva uno dei pochissimi prelati veramente colti dei suoi tempi, nel 1160 fu eletto arcivescovo di Magonza ma solo quattro anni dopo ne fu scacciato da Federico Barbarossa a causa del suo attaccamento al papa Alessandro III. Corrado da allora in poi datò ogni sua lettera aggiungendovi il calcolo degli anni dalla sua elezione all’arcivescovato e quello dal suo esilio.
Allontanato dalla patria e dalla diocesi, Corrado raggiunse l’Italia e vi trascorse diciotto anni prima di far ritorno in Germania; Alessandro III lo creò cardinale facendo di lui – si dice – il primo tedesco ad essere stato elevato alla porpora cardinalizia. Nel 1180, nell’ambito della rappacificazione fra il papa e l’imperatore, fu reintegrato nella sede vescovile di Magonza: l’imperturbabile Corrado aggiunse alla data delle sue lettere anche il calcolo degli anni dal suo ritorno.
Dopo aver reso altri servigi alla Santa Sede Apostolica ed aver addirittura partecipato alla terza crociata, il cardinale Corrado di Wittelsbach morì il 25 ottobre del 1200. Il suo corpo riposa nel duomo di Magonza.
Nulla sappiamo degli altri due delegati pontifici.
Nel mio libro La spada e la roccia del 2007 ho ipotizzato che uno di essi fosse il «magister Melior, titulo Sanctorum Iohannis et Pauli presbiter cardinalis», ovvero Maestro Migliore, cardinale prete del titolo dei Santi Giovanni e Paolo, che l’anonimo monaco cistercense che redasse la più antica Vita del santo cita tra coloro che «humiliter accesserunt», umilmente si recarono sul Montesiepi, dopo il decesso di Galgano. Migliore, pisano, già monaco vallombrosano e magister decretorum, docente di diritto canonico, cioè, fu creato cardinale da Lucio III stesso nell’aprile del 1185 – quando giunse a Montesiepi era dunque di fresca nomina! – e dal pontefice nominato camerario, più o meno tesoriere, di Santa Romana Chiesa. Anche dopo la morte di Lucio, i pontefici si servirono della collaborazione di questo insigne canonista. È importante ricordare anche che Migliore svolse importanti missioni come legato papale in Francia (I negoziati di pace tra Francia ed Inghilterra del 1193, contengono la sua firma), tanto il celebre storico della Chiesa, il domenicano padre Alfonso Chacón credette e scrisse che fosse francese: il legame tra la fondazione galganiana ed i monaci cistercensi che negl’anni novanta del Millecento giunsero sul Montesiepi, forse potrebbero trovarsi proprio qui.
Il cardinal Migliore morì in Francia si crede verso la fine del 1197 o comunque entro i primi sei mesi del 1198.
Per il terzo commissario è naturale pensare allo stesso vescovo di Volterra, Ildebrando.
Appartenente alla nobile famiglia dei Pannochieschi, Ildebrando divenne vescovo di Volterra verso la fine del 1184 o l’inizio del 1185 e mantenne la cattedra episcopale fino alla morte, avvenuta nel 1211. Dal 1150 al 1170 il vescovo di Volterra era suo zio Galgano, quello da cui il nostro santo deriva il suo nome.
Morto il vescovo Galgano – ucciso durante una sommossa – Ildebrando, all’epoca canonico della cattedrale, entrò in opposizione col nuovo vescovo Ugo: nel lungo contrasto fra papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa, Ugo sostenne infatti apertamente il pontefice osteggiando la feudalità volterrana, mentre Ildebrando militò sul fronte opposto, giungendo ad appoggiare anche gli pseudopapi di nomina imperiale. Ma Ugo era vissuto e morto in fama di conclamata santità (Ed è stato infatti canonizzato) e questo, in qualche modo, dette da subito forza alle idee della sua fazione.
Una volta assiso sulla cattedra episcopale, Ildebrando riprese la politica filo-imperiale interrotta dall’episcopato di Ugo; accogliere l’eredità di quest’ultimo, peraltro col precipuo intento di opporsi a ciò che il santo vescovo aveva rappresentato, per Ildebrando non poteva essere semplice. In soccorso al suo progetto di rafforzare sia il potere imperiale nel territorio volterrano sia quello della propria famiglia, venne inconsapevolmente un lontano cavaliere eremita, Galgano da Chiusdino: il giovane infatti proveniva da quei milites che erano strettamente legati da vincoli feudali al vescovo, per cui con la sua elevazione all’onore degli altari, Ildebrando avrebbe sia celebrato le classi sociali che sostenevano il suo potere e nello stesso tempo conferito maggiore dignità alle proprie scelte politiche.
Non solo: Galgano, che aveva abbandonato l’esercizio delle armi per dedicarsi al più duro ascetismo, che in una società in preda a guerre partigiane e a violenze di ogni genere, liberava i prigionieri dalle mani dei carcerieri e li salvava dalle mani dei tirannelli locali, come molti testimoni sostenevano essere avvenuto, diventava in un certo senso, il santo patrono di un nuovo ordine, quello che era stato inaugurato a Verona, dalla conciliazione avvenuta tra l’imperatore Federico Barbarossa ed il papa.
Tutto ciò senza nulla togliere alla indubitabile santità di Galgano.