San Galgano: un santo da restituire alla Chiesa e alla storia
Nell’ambito del programma “Al di là della notizia: cronache e commenti” trasmesso quotidianamente da Radio Vaticana, i giornalisti Fabio Colagrande e Fausta Speranza del radiogiornale vaticano, hanno parlato del fenomeno della proliferazione di testi e trasmissioni che presentano in modo scorretto il nostro santo concittadino e celeste patrono San Galgano, intervistando il nostro priore, Andrea Conti e il confratello Eugenio Susi, di Roma, storico e saggista, studioso dell’agiografia toscana e umbra, cioè i due più importanti e seri studiosi del santo.
“È penoso assistere alla distorsione della vita di un santo e dei luoghi di culto dove è venerato. Purtroppo alla radice c’è un’ignoranza, non so quanto colpevole o quanto involontaria, che ormai permea il nostro humus culturale” – ha esordito Andrea Conti – “Da qualche decennio, attorno a San Galgano si registra un fenomeno di disinformazione rispetto alla realtà storica, di decomposizione di una vicenda storicamente accertata di un santo della Chiesa Cattolica, il primo santo di cui possediamo la documentazione della canonizzazione”.
“Esiste un culto di San Galgano antichissimo, che risale a pochi anni dopo la sua morte, che è rimasto inalterato fino a tempi recenti quando attorno alla sua figura si sono voluti riconoscere degli echi che rimandavano al ciclo bretone”.
“Anche il gesto del conficcare la spada nella roccia – ha commentato – è un simbolo potentissimo e in realtà significa che Galgano abbandona la cavalleria del secolo e si mette al servizio di un Signore più importante del suo signore terreno: la spada diventa una croce perché Galgano assume la milizia di Cristo. Ma quando abbandoniamo la visione storica e ci avventuriamo nella ricerca dei parallelismi e contaminazioni con il ciclo bretone, noi perdiamo Galgano, lo perdiamo come uomo e soprattutto come santo. In questo modo Galgano non ha più significato”.
“La storia di Galgano, come si ricostruisce attraverso le fonti, è già di per sé abbastanza complessa e non ha bisogno di misteri aggiuntivi” – precisa Eugenio Susi – “Galgano vive nel 1100, un’epoca in cui i racconti del Graal erano presenti in Toscana. Nella sua vicenda ci sono elementi che ricordano questa letteratura, il più macroscopico dei quali è il gesto con cui il Santo conficcò la spada nel terreno al momento della sua conversione”. “Probabilmente – ha spiegato Susi – ciò dipende da un uso un po’ forzoso di questi elementi fatto dai primi promotori del suo culto, proprio perché Galgano diventasse un modello per i cavalieri dell’epoca. Tutto il resto sono soltanto superfetazioni, cose aggiunte per colorire la vicenda in modo sensazionalistico. Nelle fonti storiche non c’è traccia del Sacro Graal e dei Templari”.
Fausta Speranza, dopo aver osservato che queste pubblicazioni che deformano il volto del santo chiusdinese, sono firmate da personaggi che non hanno nulla da fare col mondo della storiografia, che fanno tutt’altro nella vita, ha domandato quanto di questa mistificazione della biografia di San Galgano sia frutto di ignoranza o di banalizzazione, e quanto di una strategia volta a cancellare l’autentico significato religioso della sua testimonianza.
“Dietro questa massa di informazioni che si ripetono, che rimbalzano di sito in sito, da un volume all’altro – ha spiegato ancora Eugenio Susi – c’è un filo conduttore, quello di dimostrare che Galgano non avrebbe avuto culto, che è un santo dimezzato, che la Chiesa cattolica avrebbe in qualche modo affossato, che il santo è in realtà un archetipo lontano nel tempo, che rimanderebbe a miti celtici, ma anche indiani, ma anche egiziani …”.
“È un dato di fatto – ha aggiunto lo storico – che alcuni ambienti esoterico-massonici siano molto interessati alla figura di San Galgano: è un dato di fatto, si trova su internet! La stessa Abbazia dedicata al Santo è ritenuta un luogo speciale da questa realtà, tant’è vero che è meta di raduni annuali della massoneria. Potremo parlare di un tentativo di appropriazione di questa figura storica per trasformarla una sorta di proto-esoterista o proto-massone del XII secolo”.
“Siamo di fronte a un fenomeno di disinformazione – ha osservato Andrea Conti – talvolta dovuta alla carenza di conoscenza delle fonti, talvolta dovuta ad un tentativo di distorcimento della realtà che è preoccupante”; “la Compagnia di san Galgano ha deciso proprio per questo di incrementare gli studi sul Santo, attraverso convegni, pubblicazioni, la promozione dell’accesso alle fonti, la pubblicazione delle fonti, e rendere sempre più conosciuta nella sua realtà storica una figura interessantissima perché protagonista della rinascita dell’eremitismo e del monachesimo cristiano nella Toscana del XII secolo”.
“Non possiamo cambiare la realtà – ha concluso Eugenio Susi – perché ci piacerebbe che fosse divera. La storia si fa con i documenti, si fa con metodo, con la ricerca delle fonti, l’analisi delle fonti. Non si può costruire un Galgano personale, perché ci piace di più così”.
Sono dunque apparse in tutta la loro urgente attualità e cogente verità le parole con cui l’arcivescovo di Siena, monsignor Antonio Buoncristiani, ha sigillato la sua prefazione al volume “Speciosa Imago”; commentando il gesto di Galgano di conficcare la spada nel terreno, l’arcivescovo ha scritto: “È un gesto che ha attraversato i secoli e sta lì ancora ad indicarci una scelta di radicalismo evangelico che va meditata non tanto come un enigma misterioso ma come un messaggio di pace”.
Fabio Colagrande