Francesco Maria de’ Medici, Principe Protettore della Compagnia di San Galgano (Bollettino 2/2011)

Francesco Maria de’ Medici, Principe Protettore della Compagnia di San Galgano

Nel 1682 il Priore dell’Inclito ed Insigne Collegio di San Galgano di Chiusdino, il nobile Giulio Vincenzo Biagini propose ai confratelli l’elezione di un Protettore, nella persona del Principe Francesco Maria de’ Medici, ventiduenne fratello del Gran Duca Cosimo III di Toscana, e, secondo il destino dei cadetti delle grandi famigli aristocratiche, avviato alla carriera ecclesiastica ed all’epoca Abate Commendatario di San Galgano.

Ottenuto il consenso dei confratelli, il Biagini immediatamente scrisse al senatore fiorentino Ugo della Stufa Maggiordomo Maggiore del Principe, pregandolo di farsi latore della supplica.

La risposta non tardò ad arrivare: il 25 aprile 1682, Ugo della Stufa scrisse infatti al Biagini: “Signor mio non hò mancato per servire a Vostra Signoria et a tutto al Devoto Collegio del Glorioso San Galgano di rappresentare al Serenissimo Signor Principe Francesco Maria mio Signore il desiderio che havevano di esser ammessi sotto il suo Patrocinio e sotto la sua benigna Protezione”. Allegata alla lettera del della Stufa era la risposta del Marchese Alessandro de’ Cerchi, segretario del Principe, il quale comunicava che “il Serenissimo Signor Principe Francesco Maria” “godendo che la Venerazione di San Galgano di cui ella parimente molto devoto, si vada augumentando in coteste parti, e che possa prendere anche fomento, come le Signorie vostre Si credono dal dichiararsi l’Altezza Sua Protettore del loro Collegio e della nuova Congregazione de Settantadue, che han pensato di erigere nella loro Chiesa di sotto; molto volentieri doppo haver lodato assai la lor pietà si è risoluta di accogliere l’una e l’altra sotto la sua benigna e stimabil Protettione”.

Il 24 maggio successivo il priore Biagini comunicò la notizia ai confratelli che l’accolsero con entusiasmo; dell’evento esiste una breve cronaca: “si cantò il Te Deum a suono di campana, sparo di mortaretti e moschettate e suono di tamburi: La sera, a mezz’hora di notte si replicò il suono di nostra campana, tamburi, sparo di mortaretti e moschettate in assai maggior numero, e si accesero i fuochi”.

Un anno dopo gli ufficiali della Compagnia e molti dei confratelli, ebbero presto il modo di poter avvicinare il Principe Francesco Maria, durante una sua breve visita all’abbazia: si legge infatti nel primo dei Libri di Ricordanze dell’abbazia vollombrosana di San Martino di Chiusdino, i cui monaci curavano anche l’abbazia di San Galgano, che “Il Serenissimo Prencipe Francesco Maria Medeci il dì 3. Aprile 1683. venendo à stare a Siena, volse (cioè “volle”) in detto giorno visitare Suo Galgano sua Badia, e per lettera speciale del fattore di frosini fu scritto al Predetto Abate Petronio [si tratta di Don Petronio Paceschi] come Cappellano di detta Chiesa fosse e si trasferisse a San Galgano dove Sua Altezza sarebbe stata nel mezzogiorno”.

Il Principe tuttavia non fu puntuale, perché “volse desinare a frosini”, ma quando arrivò all’Abbazia trovò ugualmente ad attenderlo l’Abate Petronio Paceschi, e tanti chiusdinesi che poterono così conoscere “l’amore, carità, et affabilità straordinaria” del Principe.

La scelta del Principe Francesco Maria de’ Medici quale protettore della Compagnia di San Galgano di Chiusdino ebbe alcune felici conseguenze.

Innanzitutto si può presumere che fu a causa della concessione del protettorato alla Compagnia da parte del Principe Medici, che i confratelli siano stati autorizzati a timbrare lo stemma del sodalizio (La spada infissa nella roccia) con la corona granducale di Toscana, cioè a porre l’immagine della corona sull’orlo superiore dello stemma. La corona granducale di Toscana si distingueva da quelle degli altri sovrani perché aveva al suo centro, fra le tradizionali punte, il giglio fiorentino, essa si può vedere nei frontespizi dei tre volumi della Selva di San Galgano dell’Archivio di Stato di Firenze, dove è appunto disegnato lo stemma della Compagnia timbrato di questo particolare ornamento.

Nel 1686 il Principe Francesco Maria fu creato Cardinale di Santa Romana Chiesa, benché non fosse neppure sacerdote, ma continuò a conservare il titolo di Abate Commendatario di San Galgano ed il protettorato della nostra Compagnia.

Nel 1694 comandò che si ricercasse il corpo di San Galgano: come molti altri della famiglia Medici, anche Francesco Maria fu un incettatore di reliquie e dagli inventari della cappella di Palazzo Pitti risulta come alla fine del Seicento il numero di reliquie ed oggetti sacri custoditi negli armadi di essa si aggirasse intorno ad un migliaio di pezzi.

Di questa ricerca la Selva di San Galgano, un repertorio di documenti relativi alla nostra Compagnia, custodito nell’Archivio di Stato di Firenze, ci ha tramandato una dettagliata memoria.

Fra il 22 ed il 26 luglio 1694, dunque, l’allora Priore della nostra Compagnia, Nobile Giulio Vincenzo Biagini, ed alcuni confratelli (Girolamo Burroni, Giovanni Pietro Marianelli, Giuseppe Girolamo Bartali, Giovanni Alessandro Politi, Galgano Maria Angelico Biagini, figlio di Giulio Vincenzo, Giorgio Vannoni e Dionisio Masserizzi), il Nobile Giovanni Domenico Ciampolini, agente del Cardinale, e i due figli di lui, Giovanni Battista e Filippo, con l’assistenza del padre guardiano residente nell’Abbazia di San Galgano, eseguirono una serie di scavi nella rotonda di Montesiepi e nella chiesa dell’Abbazia, nel tentativo di recuperare l’ambita reliquia.

Essi dunque scavarono “una buca dietro l’altare maggiore della Chiesa grande della Valle Sepiana”, cioè della chiesa abbaziale, trovando però solamente “il pavimento antico”; quindi aprirono “la mensa dell’altare suddetto e si trovò vacua”; scavarono nel presbiterio e nella sacrestia della chiesa abbaziale senza risultato.

Nell’eremo di Montesiepi, disfecero “l’altare di marmo sopra la spada”: l’altare, quindi, non si trovava dove si trova attualmente, bensì al centro della cappella, e nel suo corpo, sotto la mensa, custodiva la spada.

Demolendo l’altare trovarono che “la pietra d’avanti, in cornu epistole, era alquanto incavata nella parte superiore, e coperto l’incavo con pietra sanata, quale levata si trovò in mezzo alla concavità di mezzo braccio profondo, e braccio larga e mezzo braccio larga, un vaso di terra invetriata di colore tabaccato, dentrovi, più e diverse reliquie, un sasso, certa terra, et un vasetto di christallo con altre reliquie”.

“Disfatto tutto l’Altare di pietre diverse si arrivo alla planitie della spada […] e nel medesimo tempo si roppe un vaso di christallo turchino assai grosso […] dentro di esso vi trovarono alquanti capelli, quali da tutti furono conosciuti di San Galgano, essendo del medesimo modo e colore di quelli della sua Sacra Testa, vi si trovò un pezzo di costa, un osso che congiunge la spalla con il collo e tre ossi di diti”. Niente tuttavia lasciava supporre che fossero parte delle ossa del Santo ed anzi, quanto piuttosto con le reliquie dei Santi Fabiano, Stefano e Sebastiano, quelle cioè che San Galgano stesso aveva ricevuto in dono da Papa Alessandro III nel 1181, durante il suo pellegrinaggio ai piedi del grande Pontefice.

Scavarono il pavimento “contiguo alla sacrestia”, “nell’entrar di esso, a sinistra”, trovando “una fossa profonda cinta di muro a mattone ripiena di terra con ossa humane”, ma constatarono trattarsi dell’antico ossario dei monaci cistercensi.

La spada fu trovata spezzata in tre pezzi, di cui la punta ancora piantata nella pietra. È questo un particolare importantissimo, perché testimonia la verità di un antico episodio avvenuto quando Galgano era ancora in vita: recatosi il Santo, come poco innanzi detto, a far visita al Papa, un gruppo di persone invidiose era salito a Montesiepi coll’intento di fargli del male. Non trovandolo, ne distrussero la capanna e spezzarono la spada in tre parti, andando tuttavia incontro alla punizione divina: di essi, uno fu colpito da un fulmine, uno annegò nel vicino Reghineto, il terzo fu assalito da un lupo ed ebbe gli avambracci staccati di netto dai morsi della bestia, quelli stessi che sono conservati a Montesiepi.

Fu nell’occasione degli scavi commissionati dal Cardinale de’ Medici che fu deliberato “supposto il consenso di Sua Altezza Reverendissima”, cioè il Cardinale stesso, di “ritornare l’Altare nel luogo antico [più o meno dov’è attualmente, quindi arretrato rispetto alla spada] e unire li due pezzi della spada, e poi collegarla con la punta, e lasciare, che vi si goda la spada nel suo vero macigno, e circondarla con decente, e salvante, balaustra”, quindi facendo assumere alla cappella l’aspetto che ha ancora.

A parte questo, le loro ricerche rimasero infruttuose.

Nel 1709 il Cardinale de’ Medici fu dal fratello Gran Duca Cosimo III, costretto a lasciare la veste cardinalizia e a sposarsi per tentare di assicurare la successione della propria famiglia sul trono granducale di Toscana: Cosimo infatti, aveva avuto tre figli, i Principi Ferdinando, Anna Maria Luisa e Gian Gastone, ma nessuno dei tre aveva avuto figli e la dinastia Medici stava estinguendosi. Per questo motivo, il 19 giugno 1709 Francesco Maria rinunciò al cardinalato e il 14 luglio successivo impalmò la Principessa Eleonora Gonzaga; fu un matrimonio male assortito e destinato a rimanere sterile: Francesco Maria non solo aveva venticinque anni di più della moglie, ma si era fatto enormemente obeso e la sua salute era in evidente declino sì che la giovane sposa non nascose la sua ripugnanza e malvolentieri accondiscese all’amplesso. Tanto se ne accorò Francesco Maria che in breve, tristemente, si spense il 3 febbraio 1711, poco più che cinquantenne.

Andrea Conti