Dichiarazione Anticipata di Trattamento: ovvero un progetto di legge per l’eutanasia! (Bollettino 2/2011)

Dichiarazione Anticipata di Trattamento: ovvero un progetto di legge per l’eutanasia!

Ormai, cari lettori, siamo molto vicini all’approvazione definitiva della famosa legge sulle DAT e, come avrete certo notato, se ne parla molto poco. Forse perché il trasversale ed ampio consenso politico non corrisponde alle esigenze ed alle reali aspettative dei cittadini ma solo a quelle di una piccola ma potente lobby d’opinione che fonda la propria visione del mondo e della società su filosofie distorte ed antiumane. Tuttavia, il “carisma” che questa lobby esprime in termini culturali, politici ed economici rende questa legge un valido strumento per i nostri parlamentari per accreditarsi alla sua benevolenza (o almeno alla non belligeranza).

Dunque, per evitare che vi sia uno scontro aperto nell’opinione pubblica con la conseguenza di rendere evidenti errori e contraddizioni della legge in approvazione, come anche la deriva pro-morte che si intende dare alla società odierna sgretolando ancora di più il senso comune di famiglia, di rispetto all’anziano ed al malato, di valore educativo della sofferenza per la comprensione del vero amore verso l’altro, risulta assai più utile non dare risalto alla cosa fino alla sua approvazione.

Il prof. Giuseppe Zeppegno, docente di teologia morale alla Facoltà Teologica di Torino, scrive: “nascita, vita e morte non hanno un valore in sé, ma sono affidati all’apparente potere dell’uomo di essere arbitro indiscusso della vita. Questo modo di pensare […] è suffragato da un’esasperata concettualizzazione del principio d’autonomia. Molti ritengono che le persone devono poter autoprogettarsi e agire completamente svincolati […] da ogni idea universale di bene. Sembra invece assurdo credere che la massima espressione della moralità possa coincidere con la distruzione dell’agente morale. È altrettanto deleteria la diffusa utilitaristica convinzione che il soggetto, mortificato dalla disabilità e limitato nelle sue capacità, sia un peso inutile per la società. Una società incapace di vera solidarietà è destinata infatti a decadere sempre più in un nichilismo esasperato e distruttivo. Invece, un’assistenza sanitaria capace di interagire con le famiglie per accompagnare adeguatamente chi è in difficoltà, contribuisce alla realizzazione di un mondo più vivibile perché più ricco di umanità e di fiducia nell’altro e nelle sue capacità di sostegno.” E ancora: “Ci si accontenta della “prassiologia”, di un pensiero debole e senza fondamento. Le scelte operate non sono argomentate con la graduale e faticosa ricerca della realtà e dalla verifica del principio di non contraddizione, ma sono autogiustificate […].”

La cosiddetta cultura pro-choise in realtà è una cultura della morte e della distruzione delle basi filosofiche che hanno sostenuto lo sviluppo della civiltà fino ad oggi. Tali basi, elaborate nel tempo con approfonditi studi, attraverso l’uso della ragione e mantenendo fermo il principio di non contraddizione formulato da Aristotele, hanno consentito la scoperta e la dimostrazione logica (tutt’oggi mai smentita) di quel “diritto naturale” che garantisce la vera libertà ed il rispetto della persona umana difendendola dalla legge del più forte.

Ma una legge sul testamento biologico occorre veramente? Ebbene, se occorre è solo a causa del largo uso in Italia di “sentenze creative”, conseguenza dell’incapacità di una politica debole nel riportare sui binari costituzionali i ruoli legislativo, che emana le leggi in nome del popolo sovrano, e giudiziario, che ne garantisce l’applicazione uguale per tutti.

Mi spiego meglio: c’è necessità di impedire l’eutanasia con nuove leggi? La risposta è NO!

Il nostro codice penale già vieta senza alcuna eccezione questa possibilità ascrivendola al reato di concorso in omicidio. È la recente assoluzione del medico anestesista che ha provocato la morte di Welby “perché non punibile in ragione della sussistenza dell’esi-mente dell’adempimento di un dovere” che fa ritenere necessaria una legge più chiara. In realtà sarebbe più corretto sancire che il giudice che ha emesso quella sentenza ha tradito la legge, interpretandola e piegandola alla sua personale opinione definendo l’atto di Welby un NON SUICIDIO perché egli “consapevole della immediata prossimità ed inevitabilità della propria morte decideva i tempi e le modalità del suo trapasso in modo da consentire che il distacco dai suoi cari avvenga nel modo più sereno, più partecipato, più vicendevolmente compassionevole”. Subito dopo, il giudice, riconosce che tali riflessioni appartengono alla sfera morale e non a quella giuridica, tuttavia si comprende facilmente come questa sua personale opinione abbia indirizzato la sentenza che dichiara, in termini giuridici, che non può essere considerata suicidio “la condotta di colui che rifiuta una terapia salvavita [perché] costituisce l’esercizio di un diritto soggettivo” costituzionalmente riconosciuto. In realtà, Welby veniva solo aiutato a respirare e gli veniva somministrata acqua e cibo. Dunque il giudice ha deciso che acqua, aria e cibo sono “terapie”, il ché non è! Quindi la sentenza non può essere considerata valida.

Si obietta che si debbano impedire altri casi Englaro. Neanche questa è una valida obiezione. Infatti la nostra Costituzione impone la cura del paziente e la legge attuale non contempla tra le “terapie” alimentazione, idratazione e respirazione. Tuttavia la Cassazione ha respinto il ricorso “il consenso informato stabilisce norma di legittimazione del trattamento sanitario (altrimenti illecito)”. Ricordando che Eluana non ha mai potuto esprimere il proprio “consenso informato” data la sua condizione e che, in ogni caso, non era sottoposta a terapia ma veniva unicamente alimentata ed idratata, la Cassazione avrebbe dovuto annullare la precedente sentenza ed impedire che questo atto venisse compiuto.

Anche la presunta necessità di impedire l’accanimento e la sproporzionalità delle cure è del tutto ingiustificato. In Italia la Costituzione e le leggi attuali e la deontologia medica lo impediscono già. Ricordate il caso della donna che rifiutò l’amputazione del piede nel Gennaio 2004? Lei sapeva che sarebbe morta, ma nessuno poté costringerla all’amputazione. Morì neanche un mese dopo.

L’obiezione più rilevante dei detrattori della legge è che se io ho il diritto di non firmare nessuna dichiarazione, non posso negare ad altri il farlo. Sembra logico, ma non dimentichiamo che firmandola io impongo la mia visione a terzi e quella mia firma ha un impatto devastante su molte persone: i miei amici, i miei familiari, il mio medico, i medici che mi cureranno nel momento cruciale. Questo è un pretesto mosso da una concezione nichilista ed hegeliana che produce l’effetto di rendere carta straccia i loro diritti.

Altra obiezione: impedire le numerose cause a fini eutanasici. In Italia, per quanto è dato sapere, sono state due fino ad oggi: il caso Englaro ed il caso Welby. Sì, avete capito benissimo, SOLO DUE! Dunque di cosa parliamo?

A chi è convinto che sia opportuno arrivare al più presto a una definizione parlamentare per evitare che sulla questione, in assenza di nuove indicazioni giuridiche, singoli giudici consolidino con i loro pronunciamenti pericolose derive eutanasiche, va ricordato che se è vero che la creatività, a volte ideologica, di alcuni collegi giudicanti sta sempre più occupando il ruolo del Parlamento, ciò accade perché troppo spesso tale ruolo è lasciato scoperto per debolezza e per incapacità a produrre leggi chiare che non necessitino di interpretazione con una logica un po’ “cerchiobottista” utile più a conservare la poltrona che a dare un segno distintivo della propria azione di governo. Fin tanto che il Parlamento e gli organi dello Stato non riprenderanno l’autorevolezza necessaria non ci sarà norma o legge che tenga!

Come si è visto, infatti, non è vietando l’eutanasia o richiamando le norme del codice penale sull’omicidio che si impedisce la soppressione di innocenti; e nemmeno affermare l’indisponibilità della vita.

Basta citare su tutti l’articolo 1 della legge 194/78 sull’aborto: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza […] non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali […] promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: fino al 1977 si stimano in 100 aborti clandestini l’anno con 25-30 donne decedute durante la procedura. Dopo la 194 vi è una media di 160.000 aborti l’anno con punte fino a 234.000. Pensate che la seconda Guerra Mondiale ha fatto circa 400.000 vittime italiane, l’aborto in Italia dal ’78 ad oggi ne ha causate 4 milioni e non accenna a diminuire.

Venendo al merito del disegno di legge, il dibattito sollevato dalle voci dissonanti dal coro unanime, tuttavia, qualcosa di buono lo ha prodotto con una serie di modifiche introdotte alla Camera (che ha approvato il testo il 12 Luglio scorso). Intendiamoci, sono piccole cose, che tuttavia hanno la loro importanza e meritano, almeno per onestà, di essere citate. Ad esempio si è chiarito il “quando” si attivino le DAT, ovvero nel momento in cui si è in stato di “incapacità permanente”, ed il “come” si identifichi questa qualità, ovvero in “accertata assenza di attivita` cerebrale integrativa cortico-sottocortica-le” . Così come si escludono intenti o dichiarazioni non conformi ai modi previsti dalla legge per la ricostruzione della volontà del soggetto. Non si può ignorare che un chiarimento è sempre utile per evitare abusi e da un lato il cosiddetto “stato vegetativo” (termine assai generico e soggettivo) viene chiaramente definito, dall’altro dichiarazioni (o presunte dichiarazioni) verbali verranno ignorate (o almeno questo dice la legge).

La versione licenziata alla Camera ha reso le DAT documenti non vincolanti riducendole ad “orientamenti” e hanno assegnato loro un’efficacia solo in casi estremi. Ma quest’ultima modifica fa risultare le DAT ancora più inutili dato che, già oggi, qualunque medico tiene conto dei desideri del paziente prima che egli cada in stato di incoscienza.

Messa così, potrebbe essere obiettato che se la legge è inutile, allora perché si è contrari ad essa? A parte il fatto che la domanda potrebbe e dovrebbe essere anche girata al contrario, ovvero se è inutile perché farla? Ma il testo produce comunque effetti pericolosi e apre quel foro nella diga che, per quanto piccolo lo si voglia definire, produrrà prima o dopo il crollo della stessa esattamente come è accaduto per la 194 sull’aborto e per la legge 40 sulla fecondazione assistita.

Uno di questi fori (neanche tanto piccolo, a dire il vero) è la possibilità di “rinunciare ad ogni forma di trattamento terapeutico” ritenuto “di carattere sproporzionato”.

Ora, tale definizione è palesemente soggettiva e dunque si presta ad innumerevoli interpretazioni e varianti (il ché, tra l’altro, continua a darci leggi diseguali per tutti). E’ anche molto probabile che questa rinuncia sarà, passo dopo passo, considerata vincolante per i medici, i quali non potranno attivare terapie salvavita. E se non saranno loro saranno i giudici a dare questa interpretazione.

Non ci credete? Torniamo alla 194. L’articolo 2 assegna un ruolo ai consultori, il comma d) recita: contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. E l’articolo prosegue con: I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi […] della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Su queste basi Roberto Cota, Governatore del Piemonte, aveva introdotto la possibilità per le associazioni antiabortiste, di entrare nei consultori.

Scattato immediatamente il ricorso delle femministe al T.A.R. del Piemonte, nonostante quanto scritto nella legge, il TAR accoglie il ricorso ed annulla il provvedimento, evidenziando il potenziale discriminante del provvedimento regionale verso le altre associazioni e ha colto ulteriori elementi di incompatibilità o inadeguatezza quali la preferenza per la vita piuttosto che per la scelta. Confermando quel che molti si ostinano a non vedere, purtroppo anche tra i cattolici: la legge sul-l’aborto è PRO ABORTO e non contro di esso, cosi come lo sarà quella sul testamento biologico. Il testo approvato alla Camera, dunque, non solo fallisce l’obiettivo primario di impedire la morte di un’altra Eluana Englaro, ma al contrario avrà l’effetto di riempire i Tribunali di cause dirette a forzarne i limiti a sostegno di interpretazioni in senso eutanasico.

Ora, come spiega l’avvocato Giuseppe Tarditi, del Foro di Monza, “il Diritto è considerabile una vera e propria Scienza. L’ordinamento giuridico è infatti un Sistema completo che, proprio perché il diritto si deve adattare alla vita dell’Uomo, nella sua varietà di atti e situazioni, deve avere in sé la potenzialità di risolvere tutti i casi. Al contrario alcuni autori hanno avanzato da tempo la “teoria delle lacune”, ovvero dei casi che il diritto non prevede espressamente e che, dunque, non troverebbero risoluzione all’interno del sistema. Questo approccio porta alla conseguente formulazione della necessità di un’opera di supplenza, realizzata dall’interprete, attraverso una forma d’interpretazione, detta appunto “creativa” (creata dall’interprete e creante nuova norma), per ovviare alla lacuna. In realtà il problema delle lacune […] è un falso problema, se non addirittura artificioso, per giustificare l’invasione nel campo del legislatore. L’interpretazione per definizione non può essere creativa, e tantomeno […] espressione di un atto di volontà dell’interprete. Gli operatori di Diritto, in primis il giudice, devono cercare […] la risoluzione del caso all’interno del sistema, non nella loro volontà. L’operatore di Diritto deve perciò operare sempre come se il Diritto fosse oggettivo, indipendentemente dall’esistenza del Diritto Oggettivo stesso. Deve interpretare la norma “secondo scienza e coscienza”. La coscienza è proprio l’accettazione della norma interna per cui il Diritto è oggettivo e quindi gli operatori del diritto […] devono cercare la risoluzione […] applicando criteri logico-scientifici e non personali. La sentenza è giusta quando qualsiasi altro giudice avrebbe dato la stessa sentenza di fronte allo stesso caso. Spesso i Giudici, invece, spinti da delirio di onnipotenza, fomentato anche dall’espressione “in nome del popolo italiano” con cui aprono le sentenze, sostitu-iscono invece la loro volontà ed i propri valori […] a quelli dell’ordinamento giuridico, nell’interpretazione del Diritto. Forse bisognerebbe sostituire l’espressione “in nome del popolo italiano”che potrebbe far pensare ad un’investitura politica, che il giudice non ha, con quella ”in nome del Diritto o dello Stato”. Oggi, pare che sempre più magistrati, spinti o autogiustificati dal relativismo imperante, tendano a sostituire la propria soggettività all’oggettività del sistema giuridico, compiendo operazioni di interpretazione “creativa”. Così facendo alla lunga rischiano di distruggere la civiltà del diritto, figlia della civiltà romana, la cui lingua non a caso era il latino, sistema linguistico ispirato al rigore logico e scientifico.”

Vi è un solo modo per smontare l’interpretazione creativa: il riappropriarsi, da parte del Parlamento, di quell’autorevolezza e quella trasparenza che sola può ribilanciare i poteri dello Stato riportandoli all’origine della nostra Costituzione e dei fondamenti del diritto greco-romano.

Quanto detto sopra è una congettura? No, cari lettori, basta osservare quanto accade in Belgio, dove la legge è in vigore dal 2002, e dal 2005 si può acquistare il “kit per morire” in farmacia e si può accedere all’eutanasia programmata! Non si tratta di questioni religiose o confessionali, ma di “legge naturale”! Di un’etica universale che tutela l’uomo e che, sola, è garanzia per ciascun individuo di libertà e rispetto della sua dignità di persona difendendolo da ogni manipolazione ideologica e da ogni sopruso perpetrato in base alla legge del più forte (Benedetto XVI). Su quali infatti, infatti, esiste un ampio consenso sulla lotta per l’abolizione della pena di morte? Scientifiche? Religiose? Semplicemente: umane, naturali!

Alessio Tommasi Baldi