Lunedì dell’Angelo 2011 il pellegrinaggio all’eremo di Montesiepi
Sono le 8 di lunedì mattina, Lunedì dell’Angelo: il suono delle campane, prima le due più grandi, san Michele e san Martino, poi la terza, San Galgano, dice che nell’oratorio della Compagnia di San Galgano si stanno per cantare le lodi, il rito che segna l’inizio del pellegrinaggio annuale che i chiusdinesi compiono da tempo immemorabile all’eremo di San Galgano a Montesiepi. Immemorabile davvero, se già alla fine del Seicento un aristocratico chiusdinese, Giulio Vincenzo Biagini, scriveva che questa processione “passa la ricordanza di tutti quelli, anche più vecchi, che di presente sono venenti, mà dalli più vecchi, che si sono conosciuti si hà per antica tradizione che loro l’hanno sempre veduta fare, e sentito anch’essi dire alli loro Antenati, che sempre si è fatta”. Non c’è forse una grande bellezza nel fatto che ancora oggi sia ripetuto questo itinerario come hanno fatto i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri antenati, in tanti, tanti secoli?
Il priore ed il cancelliere, nelle loro cocolle azzurre, incedono fin sul presbiterio ed iniziano il canto “O Dio vieni a salvarmi”, “Signore vieni presto in mio aiuto” … qua e là qualche incertezza nell’azzeccare il ritmo giusto, qualche stonatura, ma che importa?
Dopo che si è pregato, via! Si parte!
La piccola processione (Quanti siamo?, venti?, trenta? Uomini, donne, qualche bambino) scende dall’alto del paese, attraversa piazza Garibaldi e via Piave e poi prende la mulattiera di Segolino.
Al Crocifisso, laddove esisteva un piccolo oratorio di cui non resta oggi alcuna traccia, si inizia la recita del Rosario; i pellegrini si inoltrano lungo le strade sterrate, i campi ed i boschi.
… “Padre nostro …”, Ave Maria, piena di grazia…”, “Santa Maria, madre di Dio …”
Che spettacolo: la natura si sta risvegliando ai primi tepori della primavera ed il profumo del terreno e degli alberi nuovamente fronzuti ci investe. Occhieggiano i primi germogli di frumento, i rami degli alberi si sono rivestiti di foglie e di gemme, qua e là siepi di biancospini, piccole ciocche di borragine e poi strigoli, pisciacani, mammole, primule, pervinche …
… “Ave Maria …”, “Santa Maria …”
Al podere La Ciava la processione si ferma. In una nicchia dell’antico casolare un’immagine in terracotta di San Galgano genuflesso dinanzi alla sua spada trasformata in croce, ci attende: recitiamo tre Gloria Patri per i confratelli viventi e tre Requiem aeternam per quelli defunti ed un’altra Requiem aeternam per l’ultimo priore defunto, poi il ritmo del Rosario torna a cullare l’anima:
… “Ave Maria …”, “Santa Maria …”
Non tutti pregano, anzi qualcuno conversa e, a tratti, dà anche fastidio ma in realtà non sarebbe lì con noi se nel suo cuore non amasse il nostro santo: frammenti di conversazione esprimono piccoli o grandi affanni, piccole e grandi gioie, piccoli o grandi desideri; forse anche in essi c’è un misterioso desiderio di affidare tutto al cuore grande e generoso del cavaliere ed eremita sulle cui orme ci siamo messi affinché sia presentata Dio. Ed anche questa è preghiera.
… “Kyrie eleison” … “Christe eleison” …”Sancta Maria”, “ora pro nobis”, “Santa Dei gentitrix”, “ora pro nobis” … “De profundis clamavi ad te Domine …”, “Maria mater gratiae mater misericordiae …” le litanie lauretane concludono il rosario ma non le preghiere.
“Gloriosissimo San Galgano, raro esemplare di penitenza e grand’oggetto di speranza e di conforto per i poveri peccatori …”, è l’antica orazione che chiede al concittadino che è giunto al paradiso di aver pietà delle nostre miserie, di ottenerci la luce per conoscere la volontà di Dio e l’aiuto per eseguirla con prontezza, con fervore e con perseveranza, affinché anche noi possiamo di andare in Paradiso, dove con Galgano, potremo cantare l’infinito amore di Dio.
Dopo la preghiera si chiacchiera, si scherza, si ride: è come se la memoria del nostro concittadino giunto in Paradiso ci consentisse di riscoprire la comune identità e la primavera ridestasse l’amicizia. L’itinerario prosegue: qualche deviazione nel bosco di castagni per evitare di restare impantanati nel fango, ancora qualche tratto di strada sterrata ed ecco il borgo di Palazzetto.
Una breve sosta per un caffè ristoratore, e poi avanti lungo la strada statale.
Si conversa del più e del meno, del pranzo del giorno prima, della salute, del tempo e della vita di san Galgano, del suo dramma umano e spirituale che dall’abisso del peccato lo ha portato alla santità.
L’erta di Montesiepi.
Angiolina è la più anziana del gruppo ma alla bella età di ottantacinque anni riesce a distaccarci di un bel pezzo; è la capofila ed è lei che per prima taglia il traguardo e varca la porta dell’eremo: grazie, Angiolina, per il tuo bell’esempio di attaccamento alle tradizioni della nostra terra e di devozione verso il nostro caro San Galgano.
La cappella è gremita di fedeli, non solo chiusdinesi.
La messa è celebrata dal proposto di Chiusdino, don Vito Nicola Albergo, e da altri sacerdoti, mons. Orazio Ciampoli, arciprete di Montieri, don Vittorio Lorenzetti, parroco della chiesa di San Mamiliano in Valli, a Siena, ma già proposto di Chiusdino (grazie, prop, perché non ci hai dimenticato e ci vuoi ancora bene e soprattutto non hai dimenticato il nostro caro santo!) e don Domenico Poeta, arciprete di Monticiano.
I canti del coro salgono verso i cerchi bianchi e rossi dell’intradosso della cupola di Montesiepi.
“Della Sion beata l’eterna gioia e festa Galgan per te s’appresta la terra ad emular…”, l’inno del nostro san Galgano, una càrola ingenua con espressioni involute tipiche dell’età barocca in cui fu composta e forse non più comprensibili.
“Su rilevato sasso immergi il ferro ignudo, cedé la rupe e il crudo patrio rigor lasciò …”.
L’inno del nostro san Galgano, di cui molti riconoscono la necessità di aggiornarlo ma nessuno ha il cuore di farlo pensando ai tanti, tanti chiusdinesi che hanno cantato con queste stesse parole.
E sento intorno a me come un abbraccio!
Frater