Onorandi e Carissimi Confratelli, Carissime Consorelle, Cari Amici Lettori,
con grande piacere presento questo nuovo numero del nostro giornaletto.
Innanzitutto credo che sia doveroso ringraziarVi del favore con cui accogliete questa pur modesta pubblicazione: un favore, di più: un entusiasmo, il Vostro, che ripaga delle loro fatiche quanti lavorano a preparare queste pagine e che ci incoraggia a proseguire su questa via.
Ma ciò di cui mi preme parlare con voi tutti, è che con il 2010 si compiono ottocento venticinque anni da che fu canonizzato il nostro glorioso concittadino e celeste patrono San Galgano e fu istituita a Chiusdino un’associazione di pie persone a lui intitolata per conservare la memoria ed il culto del santo cavaliere eremita: l’Inclito ed Insigne Collegio o Compagnia di Gesù Cristo, Maria Santissima e San Galgano, la nostra amata Compagnia di San Galgano.
Negli anni successivi alla morte di Galgano, avvenuta il 30 novembre 1181, la sua tomba divenne mèta di pelle-grinaggi e si consolidò ed estese la convinzione che Galgano fosse un potente ed efficace intercessore presso Dio: si cominciò a parlare di miracoli, guarigioni di persone contratte, un termine col quale si indicavano i paralitici, gli artritici, i poliomielitici e gli spastici; liberazioni dalla prigionia, salvataggi da aggressioni; guarigioni da febbri persistenti, in cui forse si devono riconoscere i sintomi della malaria; guarigioni di lebbrosi, liberazione di posseduti dal demonio … Tanto che un anno o due dopo la morte di Galgano, il vescovo di Volterra Ugo diede inizio all’iter canonico per il riconoscimento della san-tità di lui; e quindi, forse lui o forse il suo successore, Ildebrando Pannocchieschi, ottenne successivamente l’apertura dell’inchiesta da parte del Sommo Pontefice.
Nel 1185 il papa Lucio III nominò tre commissari. Dal verbale del processo da lui sappiamo che uno di essi fu Conradus episcopus, identificato dallo storico Fedor Schneider in Corrado di Wittelsbach, cardinale vescovo della Sabina ed arcivescovo di Magonza.
Nulla sappiamo degli altri due. Forse uno di essi fu il “Maestro Melior cardinale prete del titolo dei Santi Giovanni e Paolo”, di cui parla il primo biografo del santo, ed il terzo commissario è possibile che sia stato lo stesso vescovo Ildebrando.
Davanti ai commissari si presentarono venti testimoni, fra cui la madre stessa di Galgano, Dionisia, che dopo aver giurato sui santi Vangeli di testimoniare “senza inganno e alieni da ogni macchia di doppiezza d’animo e falsità”, esposero quello che era a loro conoscenza “della vita e delle azioni di Galgano e dei miracoli dallo stesso compiuti per volontà divina prima della morte e dopo la morte”.
Il processo si tenne sul Montesiepi dal 4 al 7 agosto del 1185: ottocento venticinque anni fa, appunto.
Il processo di canonizzazione di San Galgano riveste una particolare importanza per lo studio della storia del culto dei santi nella Chiesa Cattolica, in quanto è il più antico processo di cui ci siano pervenuti gli atti e forse il modello per i processi celebrati in seguito.
Nei primi secoli del Cristianesimo, infatti, non esisteva un processo di canonizzazione: durante le persecuzioni la santità era manifestata dalla perseveranza nella fede fino alla morte, usque ad effusionem sanguinis, fino allo spargimento del proprio sangue.
Se si fa eccezione per la Madonna, Giovanni Battista e gli apostoli, gli unici santi venerati furono infatti i martiri. Quando ai cristiani fu concessa la libertà di professare la loro fede, il concetto di santità si estese anche ai vescovi che avevano difeso la fede contro gli eretici o che avevano protetto le loro comunità dall’aggressione dei barbari e dagli abusi del potere regio, ed ai monaci che avevano perseguito la via dell’ascesi. All’effusio sanguinis, che aveva in origine costituito il criterio per distinguere la santità, si affiancò la confessio fidei. Inizialmente il riconoscimento della santità di un defunto, l’autorizzarne la venerazione e l’esposizione delle reliquie, spettava ai Vescovi, ognuno nella propria diocesi, finché i Papi non si riservarono questo diritto. Su chi fosse il Papa che proclamò la santità di Galgano, gli storici non sono concordi: la maggior parte fa il nome di Lucio III, ma c’è chi fa quello di Urbano III e chi quello di Gregorio VIII, ma è possibile che la commissione stessa che procedette all’inchiesta, avesse ricevuto dal pontefice la facoltà di procedere alla canonizzazione attraverso la figura giuridica della iurisdictio delegata, con la quale il Papa, in quanto depositario del più alto potere di giurisdizione, trasferiva tale autorità ad una figura gerarchicamente subordinata, saremmo allora in presenza della cosiddetta canonizzazione in forma commissoria.
Le prime notizie scritte della Compagnia (“Collegium Sancti Galgani”) risalgono alla metà del Trecento, ma esse tuttavia attestano non che il nostro sodalizio fu istituito in quell’epoca, ma che esso già esisteva.
Giulio Vincenzo Biagini, un erudito chiusdinese vissuto fra Seicento e Settecento, ne fissò la fondazione al 1185, cioè all’anno stesso del processo di canonizzazione.
Vediamo dunque se il Biagini ha ragione.
Proprio negli atti del processo compaiono le testimonianze di tre persone che affermano che per ringraziare il santo della guarigione ottenuta per sua intercessione, erano rimasti “al servizio di lui” per qualche tempo: essi sono Andrea de Mulutiano, il quale “per lungo tempo prestò servizio in quel luogo, cioè a Monte Siepi; Giovanni di Montepulciano che promise al santo “di trattanersi per un anno al suo servizio” se lo avesse guarito e “dopo un mese essendo stato liberato integralmente rimase fedelmente al servizio in quel luogo fino al termine previsto”; ed infine Atho di Montepulciano che, afflitto da una paralisi agli arti inferiori “fece voto di se stesso promettendo che se fosse stato da lui liberato sarebbe stato per un anno al servizio di lui”. E forse a loro andrebbe aggiunto il figlio di Girardino di Bindo, Landotto, che “fece voto di sè a Dio ed al Beato Galgano”. Possiamo ipotizzare che da queste persone o da persone con questa stessa devozione e con questo stesso spirito si servizio, sia nata la nostra Compagnia.
La Compagnia di San Galgano è la più antica di tutte le varie associazioni ed istituzioni che sono attualmente presenti a Chiusdino. Di più: essa è una delle più antiche confraternite d’Italia fra quelle at-tualmente esistenti, anzi delle due o tre più antiche di tutto il mondo.
Dalla fine del XII secolo ad oggi, quante persone – chiusdinesi o no – hanno fatto parte della Compagnia? Quando sfogliamo le pagine ingiallite dei registri del nostro archivio, leggiamo i nomi di tante famiglie chiusdinesi, di tanti uomini e donne, persone del popolo, membri dell’aristocrazia, agricoltori ed artigiani, domestiche e nobildon-ne, braccianti ed avvocati, medici e soldati, sacerdoti e minatori, tutti animati dal desiderio di tener vivo il culto del più grande fra i figli di Chiusdino, il nostro San Galgano, e di perpetuarne l’esempio.
Com’è bello tutto questo! E noi vogliamo che sia così anche nel futuro!
Otto secoli e un quarto, durante i quali la nostra Compagnia ha servito il nostro santo, ne ha alimentato ed incrementato il culto, ne ha difeso il nome, ha compiuto opere di carità per amore di lui e di Colui in nome del quale egli si ritirò sul Monte Siepi …
In epoche in cui non vi erano tutele statali per gli strati sociali più umili, per coloro che si trovavano in difficoltà, i confratelli e le consorelle della Compagnia di San Galgano provvedevano a Chiusdino ad organizzare l’assistenza degli ammalati, a fornire di vitto e vestiti i miserabili, a provvedere di un dignitoso funerale e della sepoltura i defunti che non ne avessero avuto i mezzi …
Ottocento venticinque anni, dunque.
Recentemente il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha ricordato che “la santità non perde mai la propria attrattiva, non cade nell’oblio, non passa mai di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende con sempre maggiore luminosità, esprimendo la tensione dell’uomo verso Dio” …
I chiusdinesi del passato ed ora noi stessi, siamo testimoni di quanto tutto ciò sia vero!
Dopo più di otto secoli la figura di San Galgano è ancora viva ed ha ancora molte cose da dirci!
Innazitutto perchè Galgano fu un cercatore di Dio, un uomo desideroso di trovare risposta ai grandi interrogativi della nostra esistenza: chi sono? Da dove vengo? Perchè vivo? Per chi vivo? La sua separazione dal mondo, la sua vita da eremita, furono la sua risposta alla sua ricerca della verità e della felicità: nel silenzio esteriore ma soprattutto in quello interiore, Galgano riuscì a percepire la voce di Dio … Un bell’esempio per noi che viviamo in una società frenetica in cui ogni momento, ogni spazio, sembra che debba essere riempito da suoni, da attività, tanto che non abbiamo più tempo nè per ascoltare nè per dialogare …
Ma Galgano capì an-che un’altra cosa: che la sua scoperta di Dio non era il risultato del suo sforzo personale, ma che gli era possibile perchè egli si era arreso alla grazia di Dio. Egli comprese che tutto ciò che aveva, che tutto ciò che egli era, non gli veniva da sè, gli era stato donato, era un dono gratuito di Dio, era grazia, ed era perciò anche una responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini.
Anche questo è un bell’esempio per una società e per una umanità che si credono autosufficienti. In realtà anche per noi vale la stessa cosa. Tutto l’essenziale della nostra esistenza ci è stato donato senza nostro apporto: il fatto che abbiamo iniziato a vivere non dipende da noi; il fatto che ci siano state delle persone che ci hanno insegnato ad amare e ad essere amati, che ci abbiano trasmesso la fede … tutto questo non è fatto da noi, è grazia di Dio.
Poi mi sembra importante ricordare come Galgano abbia posto al centro della sua vita la croce di Gesù: quando Galgano ha capovolto la sua spada e l’ha piantata nel terreno – non nella roccia, si badi bene, ma nel terreno: così disse la mamma del santo davanti ai commissari pontifici – non l’ha fatto perchè noi guardassimo verso Re Artù. Galgano volle che il nostro sguardo si rivolgesse verso Gesù.
Lo volle allora e lo vuole oggi.
Fu la croce di Gesù a dare al nostro caro santo la forza per affrontare le penitenze che si infliggeva ed i momenti più impegnativi della sua vita. Fu la croce di Gesù che gli diede anche la chiara coscienza del peccato che sempre accompagna il cammino dell’uomo, ma anche un’altrettanto chiara coscienza dell’infinita misericordia di Dio verso le sue creature: fu contemplando, nella sua spada, le braccia spalancate di Gesù crocifisso, che Galgano si immerse nel mare infinito dell’amore di Dio.
Per questo, pur essendo eremita, non si chiuse in se stesso ma accolse chi saliva a Monte Siepi per chiedergli aiuto. Non è anche questo un bell’esempio di attenzione particolare ai malati nel corpo e nello spirito.
Infine mi sembra importante ricordare un’ultima cosa: nel silenzio ed alla presenza del Signore, Galgano potè contempalre la bellezza del creato, opera delle mani di Dio, coglierne il senso profondo, rispettarne i segni ed i ritmi, usarlo per ciò che gli era essenziale alla vita. Seguiamone l’esempio, anche rispettando e custodendo la creazione, frutto e segno dell’amore di Dio.
Altro che “santo morto”, come ebbe a scrivere qualche grullarello qualche anno fa, coll’intento di contestare la nostra festa per il ritorno delle reliquie di San Galgano nella nostra terra!
Galgano vive!
Vive perchè è accanto a Dio, in Paradiso, e vive perchè attuali sono gli insegnamenti che ci ha lasciato.
Andrea Conti
Priore Generale