Due sacerdoti chiusdinesi del Sei e Settecento Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire (Bollettino 3/2010)

L’Insigne Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, è un ordine cavalleresco fondato nel 1554 da Cosimo I de’ Medici, primo Granduca di Toscana, con lo scopo di difendere la Fede cristiana, di lottare contro gli ottomani e le loro incursioni nel mar Tirreno; approvato da Papa Pio IV nel 1562, l’Ordine è ancor oggi esistente e le sue insegne sono conferite dai Granduchi titolari di Toscana a persone appartenenti all’aristocrazia.

In passato anche due chiusdinesi ebbero l’onore di essere chiamati a far parte di questa prestigiosa milizia, Michelangelo e Girolamo Lenzi, due sacerdoti che erano anche zio e nipote.

Michelangelo Lenzi nacque a Chiusdino il 17 agosto del 1661, terzo dei dieci figli di Girolamo Lenzi e di Bartolomea Fabianelli.

Fu avviato giovanissimo alla vita ecclesiastica e fu ordinato sacerdote il 29 settembre 1685, all’età di ventiquattro anni. Benché appartenente al clero della diocesi di Volterra – diocesi di cui Chiusdino all’epoca faceva parte – don Michelangelo esercitò il suo ministero sacerdotale a Siena, dapprima come sacrista della cattedrale e poi come rettore della chiesa di San Pietro in Castelvecchio (o San Pietro alle Scale, che dir si voglia). Ricevette quest’ultimo incarico il 23 febbraio 1708, non dall’arcivescovo di Siena ma dal Rettore, dal Vicerettore e dai Savi dell’ospedale di Santa Maria della Scala, da cui la chiesa di san Pietro dipendeva, e prese possesso della rettoria il 19 marzo dell’anno seguente.

Michelangelo Lenzì morì il 19 agosto 1736 all’età di settantacinque anni.

Il suo nome è legato ai restauri della chiesa di San Pietro, in particolare dell’ampia gradinata del sacrato, tanto che alla sua morte, la sua casa apparve ai visitatori poverissima e modesta e fu notato “come la mancanza e la scarsezza delle suppellettili e massarizie della casa parrocchiale […] fu comportata, atteso le gravi spese fatte dal Rev. Sig.re Michel Ang.o Lenzi ultimo rettore di detta Parrocchiale nel resarcire et abbellire la chiesa e casa parrocchiale, suddetta, quanto anche nell’averla ben provveduta di sacre suppellettili”; in sostanza don Michelangelo aveva venduto anche oggetti di casa per restaurare ed abbellire la chiesa che gli era stata affidata.

Nel cortile della chiesa di San Pietro, un’iscrizione ricorda i restauri effettuati a cominciare dal 1710:

MICHAEL ANGELUS

LENZI RECTOR

A.D.MDCCX

SUI VERO POSSESSUS

SECUNDO

Di lui resta anche una curiosa fatica letteraria, un opuscoletto dato alle stampe nel 1702, dal titolo “Tavole perpetue calcolate a giusta misura degli orioli sanesi per uso principalmente degli ecclesiastici”: un manuale per calcolare, in ogni giorno dell’anno, l’ora esatta dell’alba e del tramonto, utile per determinare con precisione gli orari delle varie ufficiature liturgiche.

La sua ammissione nell’Ordine Stefaniano avvenne il 16 giugno 1701; la vestizione il 12 gennaio del 1701.

Da Giuseppe Isidoro Lenzi, uno dei fratelli di don Michelangelo, e da Caterina Francesca Venturi, il 10 ottobre 1704, nacque invece don Girolamo.

Insieme al fratello maggiore Orazio, fu avviato al sacerdozio, ma mentre Orazio entrò nell’ordine agostiniano col nome di fra’ Giovanni Domenico, Girolamo rimase nel clero secolare e, come lo zio, esercitò il suo ministero sacerdotale a Siena e non in diocesi di Volterra: quando nel 1736, alla morte dello zio Michelangelo, gli fu affidata la curatela della rettoria di San Pietro alle Scale in attesa della nomina del nuovo rettore, fu infatti definito “Presbiterum Volaterranae Diocesis a pluribus annis citra Senis degentem”, “prete della diocesi volterrana da moltissimi anni dimorante in Siena”.

Il 17 gennaio 1736 fu ammesso nell’Ordine Stefaniano; non si sa quando sia avvenuta la vestizione.

Nel 1744, dal vescovo di Volterra, mons. Ludovico Maria Pandolfini fu nominato proposto della collegiata dei Santi Simone e Giuda a Radicondoli, parrocchia di cui prese possesso il 22 ottobre di quell’anno “giurando l’osservanza delli Statuti, Costituzioni e consuetudini di detta Collegiata”.

Il suo nome è legato alla fabbrica dell’ampia canonica di Radicondoli: quando arrivò nella sua parrocchia, don Girolamo, infatti, trovò che la canonica era fatiscente, tanto che dovette abitare inizialmente nel palazzo della nobile famiglia Bizzarrini e quindi mettersi all’opera e, con i propri risparmi, far restaurare ed ampliare l’edificio per sé e per i suoi successori.

L’archivio della Propositura di Radicondoli ci tramanda anche una curiosa richiesta diretta da don Girolamo al Sommo Pontefice Benedetto XIV: “attesa la sua calvizie e il rigido clima della d.a sua Residenza”, il povero don Girolamo andava “soggetto per poco a patir emicranie, e somiglianti incomodi di testa, e non potendo senza danno, a pericolo tenerla scoperta”; per questo chiese al Papa il permesso di poter indossare una parrucca “anco nel tempo della S.a Messa e Sacre Funzioni”, ma questo “con tutta modestia, e per solo riparo della salute”. La Santa Sede gli accordò l’uso della parrucca il 25 marzo 1757.

Ed a Radiconsìdoli, il 20 febbraio 1767, don Girolamo Lenzi concluse la sua giornata terrena: aveva poco più di sessantadue anni.

Scrisse il canonico don Filippo Lolini che “il Rev.mo Sacerdote Girolamo figlio del Sig. Giuseppe Isidoro Lenzi di Ghiusdino Cerimoniere dell’Ill.ma Religione de Cavalieri di San.o Stefano, Benefiziato nella Metropolitana di Siena”, “in età d’anni sessanta due, quattro mesi, e dieci giorni rese l’Anima a Dio in comunione di S. madre Chiesa”, “essendosi vanti sacramentalmente confessato […] indi divotamente comunicato p. viatico”.

Il 24 febbraio successivo “dopo essere stato esposto nella sala della d.a Casa Parrocchiale, col’intervento de’ M.to R.di Sig.i Can[onic]i suoi Confratelli, di tutti Sacerdoti e Cherici di Radicondolj e de Frati del d.o Convento di San Fr[ancesc]o fra le lagrime del clero e del Popolo ricordevole di tanti benefizi fatti al Pubblico e al Privato”, “è stato trasportato avanti l’Altar Maggiore di detta Collegiata […] recitato tutto l’Offizio de’ Morti, è stata contata solennemente la Messa”, e finalmente “incassato, è stato seppellito nell’Avello de Sig. Can[onic]i esistente nella cappella del SS.mo Rosario di detta Collegiata”.

Il canonico Lolini così concluse la sua memoria sulla morte e sulle esequie di don Girolamo Lenzi: “del detto Rev.mo Sig. Proposto sarà eterna la memoria pell’incredibili spese fatte nella Casa, e Beni della Propositura e altrove”.

Andrea Conti