L’organo: lo strumento musicale nato a gloria di Dio (Bollettino 2/2012)

L’organo: lo strumento musicale nato a gloria di Dio

di Alessio Cervelli

organo sienaSe alla buona e semplice gente che si incontra per strada chiedessimo: “Qual è lo strumento tipico della Chiesa?”, tutti risponderebbero senza esitazione: “L’organo”. Grande o piccolo, con la facciata monumentale o di linee estetiche essenziali, antico o contemporaneo, questo è lo strumento che incontriamo nella maggioranza delle nostre chiese. Ma perché lo strumento liturgico della Chiesa è l’organo? Bisogna innanzitutto sapere che all’epoca dei padri della Chiesa latina (Ambrogio, Agostino…), furono aboliti dalla Liturgia tutti gli strumenti esistenti, poiché tutti nati in ambito pagano e comunque profano. Nel Culto Cattolico per secoli si cantò senza strumenti.

Nel 826 d.C., un sacerdote italiano, Padre Giorgio da Venezia, venne chiamato alla corte carolingia di Luigi il Pio perché qui ricostruisse una copia di un antico strumento, di origine pre-cristiana, a canne, ad aria e ad acqua (l’hydraulòs), divenuto uno dei simboli della pompa e del prestigio della corte imperiale bizantina e che nel 757 era stato donato in segno di omaggio e deferente rispetto dall’imperatore Costantino V al re dei franchi Pipino il Breve. Lo strumento poi era andato perduto, perché nessuno alla corte carolingia (e neppure in tutta Europa) era in grado di conservarlo funzionante. Padre Giorgio aveva compiuto parte dei suoi studi ecclesiastici presso Santa Sofia a Costantinopoli e lì aveva avuto modo di studiare il funzionamento e la costruzione di quella particolare macchina musicale. Luigi il Pio ne approfittò per riavere quel simbolo dell’ “inchinarsi dell’impero bizantino alla potenza franca”, come scrissero le cronache dell’epoca.        

Divenuto qualche anno dopo abate di un monastero francese, Padre Giorgio e i suoi monaci ebbero un’idea davvero preziosa: recuperarono il principio di funzionamento dell’hydarulòs e realizzarono deliberatamente un nuovo strumento, l’unico che nascesse espressamente per la gloria di Dio, il servizio al Culto Divino e il bene delle anime del popolo cristiano. Fu chiamato inizialmente “pneumatico” per indicare, con la parola greca “pneuma”, sia l’aria che lo faceva respirare e quindi suonare, sia il fatto che si trattasse di uno strumento pensato per Dio e dedicato all’azione della Sua Grazia: il vento (pneuma) è infatti uno dei fenomeni con cui lo Spirito Santo manifesta in modo percettibile la sua presenza (come avvenne nel giorno di Pentecoste). Poiché però il nuovo strumento liturgico era sempre a contatto col coro polifonico gregoriano, chiamato “organum”, di cui ne raddoppiava o sostituiva alcune voci e, in assenza del coro, lo sostituiva integralmente, si finì col chiamare anche lo strumento con lo stesso nome del coro: organo.          

L’organo, fin dagli albori del suo servizio, veniva – e viene tutt’oggi – benedetto, divenendo così un sacramentale. La formula di benedizione implora il Signore affinché, tramite le armonie formate da questo strumento, la Chiesa pellegrina sulla terra si unisca al canto della Liturgia Eterna del Cielo. Per molti secoli l’organo addirittura omise di accompagnare le voci dei cantori per alternarsi con essi. Questa pratica era detta “alternatim” ed è perfino rammentata da Dante nel Canto IX del Purgatorio:

“Io mi rivolsi attento al primo tuono,

e Te Deum Laudamus mi parea

udire in voce mista al dolce suono.

Tale imagine a punto mi rendea

ciò ch’io udiva, qual prender si suole

quando a cantar con organi si stea,

ch’or sì, or no s’intendon le parole”.

(vv. 139-145).

Infatti, quando si cantava un inno, il coro eseguiva le strofe dispari e l’organo, al posto delle strofe pari, eseguiva armonie di puri suoni. Questo strumento poteva sostituirsi alla parola stessa perché, in virtù della benedizione ricevuta, offriva all’umanità che cantava in terra la risposta dei cori angelici del Paradiso, dove le parole, così limitate ed imperfette, cedono il posto alla pura e sublime armonia dei cuori, delle menti e dei suoni in quella comunione piena tra le anime e le schiere celesti realizzata in virtù della perfetta amicizia in Dio e con Dio. Se oggi, dopo la riforma liturgica del 1969, questa pratica liturgia di alternanza non è più in uso, l’effetto sacramentale rimane il medesimo: quando l’organo propone pagine solistiche, anticipa e ci fa pregustare in terra quell’armonia sublime che è la regola suprema di bellezza e d’amore nel Regno dei Cieli, in Dio; e quando accompagna le voci dei fedeli, l’organo ci permette di percepire come il canto della Chiesa militante in terra si unisca alla Liturgia Celeste. Il Concilio Vaticano II raccomanda: “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti” (Costituz. Sacrosanctum Concilium, VI, §120).