Pellegrinaggio della Compagnia a Montesiepi (Bollettino 1/2009)

Il pellegrinaggio annuale a Montesiepi: note storiche e d’attualità

ProcessioneIl prossimo lunedì 13 Aprile 2009, “Lunedì dell’Angelo”, l’Inclito ed Insigne Collegio o Compagnia di San Galgano rinnoverà il suo omaggio annuale al glorioso concittadino e celeste patrono con il tradizionale pelle-grinaggio all’eremo di Montesiepi; è il lunedì successivo alla domenica di Pasqua e non c’è chiusdinese che non sappia che in quel giorno, “si va a piedi a San Galgano”; si tratta di una tradizione antichissima che ancor oggi viene rispettata.

Forse non per tutti lo spirito è quello dei nostri antenati che compivano questo itinerario per mero intento devozionale verso San Galgano; forse lo spirito mondano e festaiolo della scampagnata tenta di prevalere sulla devozione e sulla spiritualità del pellegrinaggio … ma tant’è: ancor oggi a Chiusdino si rinnova la pluri-secolare tradizione,.

Le origini di questa tradizione si perdono, come si suol dire, nella notte dei tempi.

Già il Nobil Uomo Giulio Vincenzo Biagini, chiusdinese, che fra il 1682 ed il 1702, ricoprì più volte l’ufficio di priore generale della confraternita di San Galgano, in una lunga “Memoria e descrizzione delle Funzioni solite delle Tre Compagnie di Chiusdino” scritta verso la fine del Sei-cento, diceva che: “Pel solito da tempo immemorabile, che, mentre il tempo coll’intemperie o pioggia non impedisca, si vada in Processione el di secondo dalla Santissima Resurrezione avisitare L’eremo, et Abbazia di San Galgano à Monte Siepi. La detta Processione passa la ricordanza di tutti quelli, anche più vecchi, che di presente sono venenti, mà dalli più vecchi, che si sono conosciuti si hà per antica tradizione che loro l’hanno sempre veduta fare, e sentito anch’essi dire alli loro Antenati, che sempre si è fatta …”.

Si tratta di un’informazione importantissima: già negli anni in cui Giulio Vincenzo Biagini scriveva, il pellegrinaggio a Montesiepi era comunemente ritenuto una tradizione antichissima, tanto che passava “la ricordanza” non solo “delli più vecchi” che allora vi andavano, ma anche di quelli “che si sono conosciuti”, che vi erano andati in passato e che, evidentemente a quella data non era più di questo mondo, e tutti affermavano che avevano visto compiere questo pellegrinaggio “alli loro Antenati”.

In realtà la celebrazione dei Santi nei giorni della settimana “in albis”, quella che segue la Pasqua, possiamo farla risalire all’osservanza scrupolosa delle disposizioni del IV Concilio Lateranense, del 1215, che aveva imposto l’obbligo della confessione e della comunione pasquali con il canone “Omnis utriusque sexus”.

L’organizzazione, soprattutto da parte delle confraternite, di questi pellegrinaggi, solitamente verso luoghi di culto tenuti da comunità religiose, aveva lo scopo di mettere a disposizione dei fedeli un ampio numero di chierici per le confessioni, in modo da consentire al maggior numero di persone il soddisfacimento del precetto pasquale.

Nella citata “Memoria” Giulio Vincenzo Biagini passa a descrivere l’antichissimo rito, così come si svolgeva ai suoi tempi, alla fine del Seicento: “… La mattina del lunedì della Santissima resurrettione a mezz’hora di sole si è detta la Predica, di poi si è sempre cantata dal Pievano la Messa nella Chiesa nostra del Collegio di S. Galgano (Cioè nella cappella della casa natale di San Galgano) per consuetudine immemorabile quale compita, si và a far qualche refettione poi suona a Processione in tutte le Compagnie e Pieve”.

A Chiusdino, alla fine del Seicento erano presenti varie confraternite di laici, ognuna con la propria chiesa o almeno con il proprio altare: oltre all’Inclito ed Insigne Collegio di San Galgano, l’unica di esse che sia sopravvissuta, c’erano le confraternite del Santissimo Nome di Gesù, della Madonna del Rosario, del Corpus Domini, della Concezione di Maria e di San Galgano; di San Sebastiano, della Visitazione, della Crocetta; le confraternite del Rosario e della Visitazione erano composte solo da donne. La “Memoria” dice che l’invito alla processione veniva da tutte queste aggregazioni, tutte suonavano contemporaneamente le campane delle loro chiese insieme a quelle delle pieve, cioè della chiesa di San Michele (Il titolo di “Prepositura” è del 1732, quindi successivo alla “Memoria” scritta dal Biagini).

In ogni chiesa, scrive ancora il Biagini “Si veste ciascheduno alla sua Compagnia e sotto il suo stendardo ciascheduno và alla Pieve (Cioè nella chiesa di San Michele) dove si canta. Procedamus in pace. Exsurge. Le Litanie de Santi. Si esce alla porta Maggiore di Pieve, si và alla Chiesa di S. Martino, entrando alla porta maggiore, et uscendo (senza fermarsi) alla porta di Fianco (L’edificio e la distribuzione dello spazio urbano sono stati modificati e questa porta non esiste più); si passa per la Piazza (cioè per l’attuale via Paolo Mascagni) fino alla Porta Vacucci (“La Porta”, tout court, l’unica rimasta delle tre che si aprivano sulla cinta muraria di Chiusdino), si volta al Poggio (l’attuale via delle Mura) si scende alla chiesa del Crocifisso di Piè poggio”; anche questa chiesetta che si trovava fra gli attuali casolari Pianali e Prodiera, non esiste più.

A questo punto la processione si scioglieva per ricomporsi quando giungeva all’Abbazia di San Galgano, ove i confratelli partecipavano alle varie funzioni celebrate dai sacerdoti del luogo.

Dopo il pranzo, consumato nei campi negli immediati dintorni dell’Abbazia, iniziava il rientro: la processione si riordinava “.al Crocifisso di Piè Poggio.” per recarsi dapprima al Santuario della Madonna delle Grazie “dove arrivata la processione si scopre la Madonna e si cantano le litanie”. E qui il Biagini, simpaticissimo, polemizza contro coloro che volevano mutare la solennità semplice ed immutabile di queste tradizioni: “dissi ‘arrivata la processione’, perché la consuetudine è sempre stata, che prima sia arrivata la processione, e poi si scopra la Beatissima Vergine, e non come modernam.te hà presunto qualche capriccioso reformatore, con presupposto titolo di dominio, che non se li compete”.

Terminato il canto delle Litanie e coperta nuovamente l’Immagine della Madonna, la processione passava “per il mezzo alla terra per la strada di Porta Vacucci a Porta Piana”, cioè la detta via Paolo Mascagni, quindi venivano effettuate delle soste in varie chiese ed altari: la processione si dirigeva verso la chiesa della Madonna di Porta Piana (L’edificio, sconsacrato, esiste ancora alla confluenza di via Piave con via Lido Santini), quindi alla chiesa di San Martino, quindi nella cappella “di sotto” nella casa di San Galgano, quindi nella chiesa di San Sebastiano, nella cappella “di sopra” alla casa di San Galgano (nella casa di san Galgano esistevano anticamente due cappelle, una al piano terra, che esiste ancora, ed una in una delle sale superiori che fu smantellata alla fine del Settecento), nella Chiesa del Corpus Domini (Non esiste più, è il salone dell’ex asilo parrocchiale) ed infine nella chiesa di San Michele: “Nelle Chiesa di San Martino ed alla pieve un sacerdote con cotta e stola riceve la detta Process.ne coll’aspersorio e benedizione. Terminata la Funzione in Pieve coll’hinno Te Deum ciascheduna Compagnia ritorna alla Sua chiesa”.

Questa complessa liturgia si conservò fino alla fine del Settecento, quando si cominciò a semplificarla, sia perché molte confraternite furono soppresse, sia perché alcuni edifici sacri furono chiusi ed addirittura distrutti, sia e soprattutto perché il grande entusiasmo religioso che aveva caratterizzato la Cristianità del Medio Evo e dell’età barocca, fu duramente colpito dall’affermarsi della filosofia illuminista, che combatteva ogni espressione di religiosità popolare, quali poteva essere appunto una processione o un pellegrinaggio.

La rinnovata e semplificata ritualità del pellegrinaggio a Montesiepi dell’epoca successiva, è descritta da Giuseppe Seniori-Costantini nella sua “Vita di San Galgano”, pubblicata nel 1903: “ogni anno – egli scrive – il lunedì dopo la Pasqua di Resurrezione, promosso dalla Venerabile Compagnia di San Galgano, ha luogo come un pell-egrinaggio al luogo ove condusse vita eremitica il nostro Santo. Dopo la Messa Parrocchiale celebrata la mattina per tempo, la campanella della Compagnia, col suo squillo argentino, chiama nella Chiesa stesa, i fratelli e tutti coloro che vogliono prendere parte alla Processione”.

“Scende la processione dall’alto ove risiede la Chiesa, nella via Paolo Mascagni, e la percorre entrando poi nella piazza Garibaldi e nella strada che conduce a Ciciano (…) e al canto delle Litanie dei santi, scende giù per la via mulattiera (Cioè l’attuale strada di Segolino) che si prolunga fino al piano del fiume Merse, lascia pure questa (in prossimità del casolare Sala) e traversa un sentiero sassoso fino ad un punto in prossimità del podere ‘La Chiusa’, ove si dice che un tempo vi fosse un Crocifisso prodigioso che di lì venne asportato nella Chiesa di San Martino in Chiusdino”, si tratta del ricordo ormai opaco dell’antica chiesetta del “Crocifisso di Piè Poggio”, ricordata nella “Memoria” del Biagini. Il crocifisso, dopo la chiusura e la spogliazione della chiesa di San Martino e la trasformazione di essa in sala per conferenze e concerti, fu portato nella chiesa di San Michele, dove ancora si trova; “Qui – scrive il Seniori-Costantini – al canto del ‘Vexilla’ si scioglie la processione”.

Quindi “prima delle 11 si riannoda la processione dinanzi la facciata del Tempio rovinato (Così è sempre stata chiamata la chiesa abbaziale di San Galgano dai chiusdinesi), e sale per la costa del Monte, cantando, fino a che non entra nella Cappella di San Galgano, e quivi tutti devotamente ascoltano la Messa cantata, che celebra il Pievano del posto”.

“Col bacio della Santa reliquia, sono le 12, termina la funzione. Allora la gente si squaglia, si dissemina giù per la costa, giù al piano in numerosi gruppi lieti e festanti. Tutti hanno portato da mangiare e da bere; asciolvono e si riposano un poco”.

“Dopo cantati i Santi Vespri comincia il ritorno a Chiusdino. Poco sotto il paese, all’Oratorio della Madonna delle Grazie, la processione si riallaccia di nuovo fra coloro che si trovano pronti, e cantando sale al paese, lo percorre in parte e si ferma poi alla Chiesa della Compagnia, ove al canto dell’Inno ‘Della Sion Beata’ e al bacio della reliquia si scioglie”.

I tempi moderni, hanno imposto un’ulteriore semplificazione di questa antichissima tradizione: la scarsità dei sacerdoti e gli impegni pastorali del clero ancora presente, hanno imposto di rimuovere la celebrazione della Santa Messa del mattino nella cappella della casa natale di San Galgano e di sostituirla con il canto delle Lodi del Mattino, che vengono celebrate con solennità dai confratelli ma senza l’assistenza dei sacerdoti; nell’accoglienza dei pellegrini, le tavole dei ristoranti hanno ormai da tempo sostituito i prati; le automobili facilitano il rientro a Chiusdino tanto che nessuno più da tanti anni compie a piedi il percorso a ritroso; nel pomeriggio il santuario della Madonna delle Grazie si apre ancora, ma non per riordinare la processione verso l’oratorio della Compagnia, bensì per ospitare gli ultimi riti della giornata: là infatti con la recita del Rosario, il canto del Vespro ed il bacio della reliquia del “Velo della Madonna”, si conclude questo itinerario dello spirito, in modo da accomunare i nomi dei due patroni di Chiusdino e del suo territorio, la Madonna delle Grazie, appunto, e San Galgano.

Dicevamo, in apertura, che lo spirito con cui l’itinerario galganiano del Lunedì di Pasqua da Chiusdino a Montesiepi è oggi compiuto, non per tutti sembra essere più quello di un tempo, sembra infatti in procinto di avvenire una soluzione di continuità tra la tradizione che viene ancora conservata, ma che sembra voglia essere vissuta solamente come un piacevole diversivo sportivo e festaiolo, con i valori e le finalità che quella stessa tradizione dovrebbe rappresentare: ripercorrere simbolicamente il cammino del glorioso concittadino e celeste patrono verso l’incontro con Dio.

In realtà ci troviamo di fronte ad uno dei segni della crescente secolarizzazione; ci domandiamo semmai: se questo divario dovesse acuirsi, quanto quest’antica tradizione potrà reggere all’urto del tempo? Una “tradizione”, infatti, è qualcosa che giunge a noi dalle generazioni del passato e che noi consegniamo (in latino “tradere”, da cui la parola “tradizione”, significa esattamente “consegnare”), come un bene prezioso, alle generazioni successive; nel momento in cui la stessa tradizione perde i valori che la fondano, si trasforma in una “consuetudine” e con ciò perde la sua forza per così dire “patrimoniale”, e si sottopone inevitabilmente alla dura legge della moda del momento.

Se non vogliamo che un altro aspetto della cultura della nostra terra cada nel dimenticatoio, se vogliamo che il compimento di questo percorso sia proficuo per le nostre anime, allora tutti noi abbiamo il dovere di suscitare in noi stessi e negli altri la domanda su quale senso abbia ancora il rinnovare ogni anno quest’atto.

Lotharius