il beato Giacomo da Montieri (Bollettino 2014)

il beato Giacomo da Montieri (Bollettino 2014)

La lezione di un figlio spirituale dell’abbazia di San Galgano, nell’ottavo centenario della nascita: aprire il cuore a Gesù!

di Andrea Conti

Due volte l’anno, a dicembre ed a luglio, Montieri festeggia il proprio patrono, il beato Giacomo, anzi, come dicono le più antiche biografie, Sancto Jacopo Murato, che è anche uno dei numerosi santi e beati legati all’abbazia cistercense di San Galgano.

Giacomo nacque a Montieri nel 1213. Cominciò prestissimo a lavorare nelle miniere d’argento di proprietà dei potentissimi vescovi di Volterra ed a trent’anni con altri giovani, scrive monsignor Rino Biondi nella sua biografia del beato, “o per sete di denaro, o perché inaspriti dai molti soprusi, dei quali essi stessi si consideravano vittime, si misero segretamente d’accordo per recarsi nottetempo a rubare l’argento in certi depositi che essi dovevano ben conoscere per consuetudine di lavoro”.

Ma il colpo fallì e “quando la pena di morte pareva oltremodo eccessiva e tuttavia si voleva rendere innocuo il malfattore e incutere spavento negli altri, si applicava la pena minore, ma pur sempre terribile, il cui solo nome desta in noi un raccapriccio istintivo: la mutilazione”. Giacomo subì il taglio della mano destra e del piede sinistro!

“Dopo il subbuglio dei primi giorni – è sempre monsignor Biondi che scrive – subentrò in lui una più moderata inquietudine e finalmente, alla luce di Dio, egli poté guardare fino in fondo la sua anima, come quando, giovanetto, si era specchiato nelle limpide acque di un ruscello. Il segno dell’interiore schiarita e del disgelo del cuore, che stava operandosi sotto l’influsso della grazia divina, furono le lacrime. Le molte lacrime furono, fin da principio, straordinariamente benefiche e purificatrici. Tolsero al povero mutilato il senso oppressivo di essere ormai spedito, di non servire più a niente, e dissipando dalla sua mente ogni funesto pensiero, gli rivelarono quello che d’ora in poi poteva e doveva fare: espiare volontariamente davanti a Dio, riparare in qualche degna maniera davanti agli uomini”.

“Persuaso di ciò, il pio convertito non frappose più indugi, ma fin d’allora, formulò nel segreto del cuore l’arduo voto: farsi recluso volontario e passare segregato dal mondo tutto il resto della sua vita”.

“Tuttavia, per realizzarla nel modo voluto dalle leggi canoniche, doveva anch’egli appoggiarsi al monastero più vicino; e lì, il più vicino, il più in vista (anche materialmcnte, perché da Montieri, come da un aereo balcone, era facile scorgerlo giù in fondo al pian della Merse) era quello: San Galgano. Non era possibile ignorarlo”.

“Da parte di Giacomo c’era soprattutto l’ammirazione per il Santo ch’egli poteva considerare quasi suo conterraneo e affine a sé, perché passato dalle colpe di gioventù alle austerità della vita solitaria” ma ad essa “si aggiungeva la stima per la Badia di stretta osservanza e il bisogno, da lui umilmente e profondamente sentito, di attingere a una fonte di genuina spiritualità, prima di affrontare le asprezze della reclusione”. 
“Sarà stato davvero laggiù il Beato a istruirsi nelle monastiche discipline? Rispondiamo: – La cosa non è documentabile, ma neanche inverosimile; anzi, trova il suo appoggio, come abbiamo già detto, nella tradizione e nella disciplina della Chiesa. E per giunta, più vi pensiamo più ci convinceremo che un simile tirocinio era assolutamente necessario al nostro Penitente. Avendo egli fino a ieri seguito il mondo, l’improvvisa conversione non poteva supplire a tutto, ne aprirgli tutti in una volta gli arcani della vita contemplativa. Gli occorreva una preparazione, e questa, da solo, non poteva farla; mentre la Badia era lì, come uno scrigno nuovo, fornito degli incomparabili tesori della spiritualità cistercense”.

Terminato il periodo di prova, Giacomo, presente l’abate di S. Galgano, fece il suo ingresso in una piccola cella costruita accanto alla chiesa di San Giacomo Apostolo, sul poggio di Montieri.

Giacomo visse come volontario recluso, conducendo una vita di solitudine, silenzio, preghiera, penitenza, per più di quarant’anni, operando miracoli e per lunghissimi periodi non vivendo nient’altro che dell’eucaristia, finché il 28 dicembre 1289, mentre si celebrava la festa dei Santi Innocenti, all’età di settantasei anni, lasciò questa terra per la gloria del Paradiso.

L’ammirazione per lui vivo si trasformò in culto una volta morto. Non ci fu mai un processo di canonizzazione ma all’epoca la disciplina per il riconoscimento della santità di un fedele non era stata codificata così come oggi: bastò ai montierini la memoria degl’anni che Giacomo aveva trascorsa in preghiera e penitenza e i miracoli che avvenivano per sua intercessione mantennero nel popolo questo ricordo e lo alimentarono. Il culto del beato è quindi precocissimo: i montierini decisero da subito di onorarne i resti mortali esposti da subito alla pubblica venerazione, e di custodirne le varie memorie, fra cui la cella dov’era vissuto e già cinquant’anni dopo la morte del beato è documentata a Montieri una confraternita istituita in suo onore e col fine di tenerne desti la memoria e il culto, l’Opera di Sancto Jacopo Murato che esiste tutt’ora.

Il corpo è custodito in un’urna sontuosa, sull’altar maggiore della chiesa parrocchiale dei Santi Michele e Paolo di Montieri: una delle ricognizioni delle reliquie del santo, fatta nel 1694, fu presieduta da monsignor Lorenzo Politi, protonotario apostolico e all’epoca arciprete di Montieri, che era però di Chiusdino!, e ciò col fine di estrarne alcune reliquie da inviare al cardinale Francesco Maria de’ Medici che gliene aveva fatto richiesta.

La Santa Chiesa, madre de’ santi, scrive il Manzoni negl’Inni sacri, tramite il pontefice Pio VI, nel 1798 ne ratificò solennemente il culto ab immemorabili.

L’anno scorso, nel 2013, ricorrendo l’ottavo centenario della nascita del beato, i festeggiamenti, organizzati dall’attuale arciprete monsignor Orazio Ciampoli e dai suoi collaboratori, sono stati particolarmente solenni. Essi son giunti al loro culmine con la visita di sua eminenza il cardinale Angelo Comastri, arciprete della patriarcale basilica vaticana di San Pietro e vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano.

Ed al cardinal Comastri dobbiamo le parole che seguono, nella quale sintetizza il messaggio di questo santo: “Sono convinto che la principale causa dello sbandamento dell’attuale società sta nei modelli sbagliati ai quali la gente e, soprattutto, i giovani guardano per progettare e sognare la loro vita. Quali sono i modelli a cui oggi guarda la gente? Sono le persone di successo, le quali, molto spesso, sono corrotto, sono senza principi morali, sono caratterizzate da una vita disordinata e guidata soltanto dal capriccio e dall’egoismo. Seguendo questi esempi abbiamo il mondo che vediamo, un mondo sbandato e scontento, perché si è spenta la luce della Fede, che è l’unica lice che dà senso alla vita e illumina il cammino della vita e lo rende bello e felice”.

“È necessario invertire la rotta – ha proseguito il cardinale – ce lo grida la storia del beato Giacomo da Montieri. Egli, da giovane, sentì come tanti la suggestione del denaro, la voglia di possedere, di godere e arrivò a progettare un furto che sconvolse la sua vita. Tutto poteva finire nel buio di una galera (e, allora, erano veramente buie le prigioni), di lui la storia poteva non lasciare traccia, se non il vago ricordo di uno dei tanti furfanti che appaiono e scompaiono nello scenario del mondo”; “Non è stato così! Perché? perché Giacomo ha aperto il cuore a Gesù: all’unico che può trarci fuori dalle catene della cattiveria e può ricostruire il senso della vita in qualsiasi situazione, anche nella situazione più disperata”.

“La lezione è chiara – ha concluso il cardinale – se vogliamo che i nostri giovani non diventino come le lumache che lasciano dietro di sé soltanto la scia insignificante di una bava (e accade spesso!), dobbiamo aiutarli a costruire la vita sulla roccia sicura della Fede in Dio!”.