Cenni storici sui luoghi di culto intitolati a San Galgano al di fuori della Val di Merse viaggio fra la Garfagnana, la Val di Chiana e Perugia

Cenni storici sui luoghi di culto intitolati a San Galgano

al di fuori della Val di Merse viaggio fra la Garfagnana, la Val di Chiana e Perugia

di Andrea Conti

L’arrivo dei monaci cistercensi a Montesiepi, fra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, fortemente voluto dal vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi, provocò delle tensioni nella piccola comunità di eremiti che si era costituita attorno a Galgano quand’egli era ancora in vita, che aveva convissuto con lui, seppur per breve tempo, e che ne custodiva la memoria e le reliquie del corpo e della spada conficcata nel terreno.

Che il nostro Santo non vivesse da solo nel bosco di Montesiepi, è infatti attestato dalla più antica documentazione che, a suo riguardo, sia giunta in nostro possesso. Innanzitutto negli atti del processo di canonizzazione, redatti appena cinque anni dopo la morte del santo: Pagano de Nocetia poté descrivere le penitenze cui il santo si sottoponeva perché le aveva viste “dum conversaretur cum eo” cioè “mentre soggiornava con lui ” (La conversatio è, nel linguaggio ecclesiastico, la vita religiosa).

In un documento d’una decina d’anni dopo col quale una gentildonna chiusdinese, Mateldina di Ugolino, vedova d’un tal Guidobaldone, donava alcuni terreni alla chiesa del beato Galgano sul poggio di Montesiepi, si fa riferimento ai Pauperes Christi, ai Poveri di Cristo che servivano Dioin quel venerabile luogo (qui sunt dati Deo servire in praedictum venerabilem locum).

Dalla Vita Sancti Galgani de Senis, la più antica biografia del santo, scritta da un anonimo monaco cistercense nella prima metà del Duecento, sappiamo che Papa Alessandro III accettò di ricevere Galgano poiché era giunta al Pontefice la “famam noviter religionis inceptae”, la fama della nuova comunità religiosa appena fondata.

Si trattava presumibilmente di una piccola comunità su scala ridotta ed abbastanza libera e rurale organizzata più che attorno alle tradizionali regole di San Benedetto e di Sant’Agostino, attorno a prescrizioni proprie ed originali, ad una regola orale ispirata a più testi monastici, presumibilmente quelli che descrivevano lo stile di vita dei Padri del Deserto, i solitari asceti della Tebaide che sono all’origine del monachesimo cristiano.

Non volendo aderire alla regola benedettina che i monaci cistercensi erano tornati ad interpretare e ad applicare nel suo primitivo ma luminoso rigore e volendo preservare il proprio carisma spirituale, un consistente gruppo di questi Poveri di Cristo – altrove esplicitamente chiamati Consocii beati Galgani – lasciò Montesiepi non per tornare nelle proprie famiglie ma per trasferirsi altrove e continuare secondo quello stile di vita fin lì condotto.

La notizia ci è trasmessa dall’altro antico biografo di San Galgano, un monaco agostiniano ance lui rimasto anonimo ma che sappiamo essere stato priore del convento di Santo Spirito a Firenze, che compilò una Vita negli anni trenta del Trecento.

Questi due fatti – l’ingresso dei cistercensi e la dispersione dei consocii beati Galgani – provocarono il sorgere, al di fuori della Val di Merse, di vari piccoli conventi con le relative chiese intitolate al santo cavaliere eremita chiusdinese.

Eremo di San Galgano di Catasta o di Pietreto, presso Chiusi.

Verso il 1191 – erano passati appena dieci anni della morte del nostro caro Santo – un gruppo degli eremiti di Montesiepi giunse nel territorio dell’attuale comune di Paciano, in provincia di Perugia ma in diocesi di Chiusi, e lì fondò un convento conosciuto dalla documentazione dell’epoca come heremitorium Sancti Galgani de Catasta o anche de Petreto.

Verso la metà del Duecento, i membri di questa comunità aderirono all’ordine di Sant’Agostino assumendone la regola.

La vita del convento di San Galgano di Catasta fu purtroppo molto breve: già agl’inizi del Trecento l’eremo non risulta più con questo nome ma come semplice chiesa pur sempre dedicata a San Galgano, segno che non vi risiedeva più alcuna comunità.

Questa chiesa di San Galgano fu officiata per tutto il Cinquecento ed il Seicento; tuttavia nel 1798 essa già non esisteva più, tanto che su quei poveri resti un nobile locale fece erigere un oratorio dedicato a San Filippo Benizi, un sacerdote fiorentino, membro dell’ordine dei Servi di Maria, vissuto nel Duecento, che per umiltà si era sottratto all’elezione al sommo pontificato. Oggi anche questo secondo oratorio è ridotto ad una macìa di sassi.

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Eremo di San Galgano de Fidentio in Funticellis, presso Chiusi.

Gli eremiti di San Galgano de Catasta furono all’origine di un’altra fondazione galganiana. Fra il 1220 ed il ’40, il priore di quel cenobio, frate Stefano, inviò infatti cinque dei suoi frati a fondare un altro eremo in una località poco lontana che si chiamò eremo di San Galgano de Fidentio in Funticellis.

Anche questo nuovo convento oggi non esiste più: ne resta un pallido ricordo in un podere San Gargano ed in una fonte di San Gargano, proprio così, con la “r”.

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Eremo di San Galgano di Vallebuona in Garfagnana.

Un’altra fondazione dei consocii beati Galgani allontanatisi da Montesiepi fu quella, assai più lontana dei precedenti, realizzata a Vallebuona in Garfagnana: si tratta dell’heremitorium Sancti Galgani Vallisbonae de Garfagnana, nel territorio dell’attuale comune di Vergemoli (in provincia di Lucca), che risale al 1214.

All’origine di questa fondazione, c’è un miracolo. È ancora l’anonimo priore del convento di Santo Spirito di Firenze a raccontarcelo: giunti in Garfagnana “in villam quae Valivum dicitur”, in una località che si chiama Vallico con le reliquie del santo: si tratta di Vallico di Sotto nel territorio dell’attuale comune di Fabbriche di Vallico, già di Trassilico.

Di quali reliquie si trattasse non si sa; certo non la testa, poiché essa rimase a Montesiepi; forse il resto dello scheletro e questo spiegherebbe l’assenza di altre reliquie del santo dal territorio chiusdinese.

I Poveri di Cristo che avevano lasciato Montesiepi, furono ospitati da una pia donna del luogo. Nel corso della notte, lo splendore di due luci miracolosamente apparse sulla cassa che conteneva le reliquie, svegliarono prima la donna e poi il marito di lei; convocato il pievano del luogo, fu deciso di regalare agli eremiti un appezzamento di terreno perché vi edificassero il loro convento.

Come i religiosi dei due precedenti conventi, anche quelli di Vallebuona di Garfagnana aderirono successivamente alla regola di Sant’Agostino.

La decadenza di questo convento iniziò nella seconda metà del Trecento e si protrasse per tre secoli finché, fra il 1650 ed il ’53, papa Innocenzo X non ne decise la soppressione. Di questo convento oggi non resta che una modesta casa colonica che col suo nome, I Romiti, ci tramanda l’antica destinazione.

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Eremo dei Santi Giorgio e Galgano della Spelonca, presso San Giuliano Terme.

Già all’indomani del loro abbandono dell’eremo di Montesiepi, alcuni dei consocii beati galganitrovarono ospitalità presso l’heremitorium Sancti Georgii de Spelunca, sul Monte Moricone, al confine tra le provincie di Lucca e di Pisa, nel territorio dell’attuale comune di San Giuliano Terme (in provincia di Pisa), fondato nel 1187 dal podestà di Lucca Paganello de’ Porcari per il sacerdote Giovanni degli Onesti che aspirava alla vita eremitica.

Dall’eremo della Spelonca gli eremiti galganiani uscirono nel 1214 per fondare un loro eremo, quello di Vallebuona, che abbiamo appena visto. Una decina d’anni dopo, tuttavia, fra le due comunità esisteva una profonda unione spirituale tanto che l’eremo della Spelonca comincia a denominarsi di San Giorgio e San Galgano mentre quello di Vallebuona invertì i nomi dei santi definendosi di San Galgano e San Giorgio.

Anche di questo convento iniziò una repentina decadenza a partire dagl’inizi del Trecento. Nel 1433 il capitolo degl’eremiti agostiniani vi mandò fra’ Agostino da Milano per risollevarne le sorti. Il frate milanese non deve però aver avuto un gran successo se, nella seconda metà del Seicento del convento della Spelonca non se ne sapeva proprio più niente ed il buon Padre Torelli, nella sua monumentale storia dell’ordine agostiniano, poteva scrivere: “ben è vero che hoggidì più non si trova in essere”.

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Anche i cistercensi, dopo il loro ingresso a Montesiepi e dopo la costruzione della grande abbazia nella valle sottostante, furono chiamati a riformare altri cenobi reintroducendovi l’osservanza scrupolosa della regola di San Benedetto, in diocesi di Siena (i monasteri di San Prospero, che un’antica leggenda non sostenuta però da prove storiche, diceva fondato dalla bella Polissena, la promessa sposa che il santo non impalmò e che si dice abbia convinto ad abbracciare la vita monacale; di Santa Maria a Fonte Becci e di San Michele a Quarto), in diocesi di Firenze (i monasteri di San Salvatore a Settimo e di San Donato in Polverosa), in diocesi di Pisa (di San Bernardo, di San Michele alla Verruca, di Santa Maria di Mirteto, di Sant’Ermete in Orticaria), in diocesi di Lucca (San PantaleoneSan CerboneSanta Maria delle Grazie), in diocesi di Perugia (Santa Giuliana).

Questo non significò la costituzione di chiese dedicate a San Galgano – i cistercensi mantennero il nome dei monasteri affidati alla loro cura – ma abbiamo due eccezioni, uno nel territorio dell’attuale comune di San Gimignano ed uno addirittura a Perugia.

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Cenobio di San Galgano di Ulignano, presso San Gimignano.

A partire dagl’anni Settanta del Duecento, in seguito ad alcuni lasciti di privati alla grande abbazia cistercense, e poi attraverso dei veri e propri acquisti, i monaci acquisirono alcune proprietà fondiarie vicino al paese di Ulignano, nel territorio dell’attuale comune di San Gimignano.

Nei pressi di Ulignano i monaci edificarono un convento con il suo oratorio, che fu il prodromo della graduale penetrazione dei monaci nel sistema dei mulini sul fiume Elsa e nelle floride attività manifatturiere ad essi collegata, avviandone, in alcuni casi, una cogestione con il comune di San Gimignano: fra i ruderi di un antico mulino si conserva ancor oggi un’epigrafe, datata 1315, che, a memoria della proprietà condivisa, presenta gli stemmi congiunti dell’abbazia di San Galgano in Val di Merse e del comune di San Gimignano.

La comunità di San Galgano di Ulignano fu avversata, purtroppo, dai sacerdoti sangimignanesi: ne nacquero contese per risolvere la quali intervennero prima il vicario della diocesi di Firenze e poi lo stesso Sommo Pontefice Nicola IV che si pronunciò a favore dei monaci.

Di questo convento che, come visto, era ancora fiorente nel Trecento, non restano che le indicazioni toponomastiche: una Via San Galgano, appunto, e, lungo di essa, il Podere San Galgano, oggi trasformato in un agriturismo.

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Monastero di San Galgano a Perugia.

Nel 1234 ai monaci bianchi di Citeaux fu affidata la riforma dell’abbazia del Santissimo Salvatore di Monte Corona, nei pressi di Perugia.

Nemmeno vent’anni dopo, nel 1253 il cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina, Giovanni da Toledo – che era monaco cistercense e perciò detto il cardinale bianco e, nonostante il suo nome, non era spagnolo, ma inglese: nella città iberica aveva studiato medicina – affidò all’abate di San Galgano la cura di un monastero femminile all’interno della città, quello di Santa Giuliana, che il prelato aveva appena fondato. Questo due fatti, soprattutto il secondo, determinarono l’ingresso del culto galganiano nella città umbra.

Pochi anni dopo, vicino alle mura cittadine fu edificato un monastero dedicato al santo eremita: non mi è stato possibile conoscere con precisione quando ciò sia avvenuto ma è certo che nel 1279 gli statuti del comune di Perugia già censivano una ecclesia Sancti Galgani ed un monasterium Sancti Galgani, in posizione periferica ma prossima alla città, che il podestà ed il capitano erano tenuti a proteggere e difendere.

Come il monastero di Santa Giuliana, anche questo di San Galgano era abitato da monache e lo fu fino al 1412 quando lo lasciarono per trasferirsi nel monastero di San Francesco. La piccola chiesa continuò tuttavia ad essere officiata ed anzi è da credere che il culto perugino del nostro Santo si sia mantenuto abbastanza vitale se ancora all’inizio del Seicento don Placido Vibi (1571 – 1652), un monaco camaldolese della citata abbazia di Monte Corona, redasse una Vita Sancti Galgani Eremitae, evidentemente per soddisfare la necessità dei religiosi e dei fedeli di meglio conoscere il santo cavaliere eremita e che purtroppo è andata perduta o almeno non è ancora emersa dagli archivi.

Poiché vicino al monastero scaturivano delle acqua salubri, nel 1635 i priori della comunità di Perugia deliberarono la demolizione dell’edificio e l’erezione al suo posto di una struttura termale che esiste tuttora: le Fonti di San Galgano. La chiesa fu risparmiata e rimase in piedi fino al 1792, quando ormai del tutto pericolante, fu demolita.

Fu allora che il parroco della vicina parrocchia di Sant’Andrea, don Francesco Maria Rosa, volle perpetuare il nome del nostro Santo commissionando ad un pittore locale, Benedetto Cavallucci, una tela raffigurante “san Galgano eremita senese a cavallo cui apparisce un’angelo indicantegli una gloria dove sono espressi Gesù Cristo, la Vergine, s. Gio. Evang., s. Pietro e s. Paolo, e in fondo al quadro, un’eremitaggio per cui viene indicata la conversione del Santo” (Così scrive lo storico locale Serafino Siepi nella sua Descrizione topologico-istorica della città di Perugia, del 1822).

Ed è bello sapere che a Perugia esiste ancor oggi una Via San Galigano, quella che da Porta Concagiunge al Parco dei Rimbocchi, costeggiando il Monte Morcino e le Fonti di San Galigano.

Anche se il nome è stato un po’ modificato – c’è una “i” nel mezzo in più – dalla pronuncia del nome del nostro santo nel dialetto perugino, è certo che si tratta proprio di lui, di San Galgano da Chiusdino.

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  1. B.: Le notizie sugli eremi di Catasta, di Vallebuona, della Spelonca e di Fidentio in Funticellis, sono tratte dal volumeEremi agostiniani nella Tuscia del Tredicesimo secolo, del compianto Padre Tullio Zazzeri, pubblicato dalla Biblioteca Egidiana di Tolentino nel 2008.

Devo le notizie sul cenobio di San Galgano di Ulignano oltre che alle note di Antonio Canstrelli per L’abbazia di San Galgano, del 1896, alla presentazione che la Dott.ssa Silvia Colucci ne ha fatto durante il convegno sull’iconografia di San Galgano nel maggio 2013.

Per la segnalazione della presenza di un monastero di San Galgano di Perugia, ringrazio vivamente il caro collega ed Amico Chiar.mo Prof. Lino Andrea Rinaldi che con la sua consueta gentilezza e col suo contagioso entusiasmo, mi ha fatto anche da guida per la scoperta del sito.

Per le notizie storiche su di esso, fornitemi con straordinaria e cortesissima disponibilità e tempestività, ringrazio di vero cuore la Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Casagrande, dell’Università di Perugia.